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Rifoma Madia, la Consulta rafforza le Regioni

Ci sono sentenze e sentenze della Corte costituzionale. La sentenza n. 251/2016 non dovrebbe essere ricordata solo per aver impedito l’adozione del decreto di riforma della dirigenza previsto dalla legge 124/2015 (“Madia”), ma per i potenziali effetti di modifica dell’attuale assetto costituzionale nel rafforzare oltre modo il potere delle Regioni.
Mentre ci apprestavamo a votare per il referendum per il superamento del nostro bicameralismo perfetto, una sentenza della Corte introduceva di fatto una sorta di “tricameralismo”, consolidando il ruolo della Conferenza Stato-Regioni.
Salutata con favore dalla dirigenza pubblica, ai “non dirigenti” rimane una sentenza che di fatto afferma in maniera innovativa alcuni principi dirompenti, che speriamo non trovino un ulteriore seguito giurisprudenziale.

La leale collaborazione tra Stato e Regioni
In primo luogo, la leale collaborazione tra Stato e Regioni va assicurata anche nel processo legislativo e non solo nella fase attuativa di carattere amministrativo. Secondo: le deleghe possono essere già di per sé lesive nei confronti dei controinteressati anche prima dell’attuazione della stessa. Terzo: il concorso delle competenze inestricabilmente connesse delle materie tra Stato e Regioni porta sempre a cercare la leale collaborazione a livello legislativo. Quarto: il modo migliore per assicurare la leale collaborazione è il raggiungimento dell’intesa in Conferenza Stato-Regioni.
La sentenza ha sollevato giustamente molte critiche e perplessità. Nel merito, ad esempio, dei principi e criteri di delega contenuti all’articolo 11 della legge 124/2015, in materia di dirigenza pubblica, questi rientravano prevalentemente tra le competenze esclusive dello Stato o comunque potevano essere attuati in maniera conforme alla ripartizione di potestà legislativa prevista dall’articolo 117 della Costituzione, non richiedendo l’intesa. Istituto già previsto dalla delega per la istituzione dei ruoli dirigenziali.

Le conseguenze
Gli indirizzi giurisprudenziali richiamati avranno delle conseguenze importanti per il legislatore e per i destinatari dei provvedimenti.
L’intesa va cercata solo in caso di decreto delegato o sempre? E quindi, come ritarda il processo legislativo in un procedimento già rallentato da una lunga concertazione (pareri commissioni parlamentari, Consiglio di Stato, audizioni, ecc.), molto intensa nel caso di un decreto delegato, ma oggi inevitabile di fronte a uno spauracchio di intervenire probabilmente su «competenze inestricabilmente connesse».
L’intesa potrà essere così lo strumento che spingerà le Regioni a condizionare oltre il dovuto i già deboli governi nazionali.
Un’altra conseguenza è quella di portare, per eccesso di complessità e “concertazione”, ad una fuga dallo strumento della legge delega oppure a un peggioramento della qualità delle norme ivi contenute. In tale processo legislativo, inoltre, il legislatore delegato si dovrà chiedere come riuscire a coordinare le posizioni differenti e i contrasti molto probabili tra le posizioni delle commissioni parlamentari, del Consiglio di Stato e quelle espresse dalle Regioni.
Certamente la sentenza ci consegna un assetto tra i poteri che vede il livello regionale oggi più forte, sia per la mancata fissazione in molti ambiti dei livelli essenziali delle prestazioni sia per il mancato esercizio del potere sostitutivo ex articolo 120 da parte del Governo. Infine, il rischio di avere un sistema di produzione di leggi altamente concertativo, più lento e al contempo con produzione di norme di cattiva qualità, come cattivo risultato di lunghe mediazioni politiche, è alto. Non è certamente quello di cui ha bisogno il nostro Paese.

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