Personale

Pa, fasce di reperibilità per le verifiche sullo smart working

Per controllare il lavoro agile nella pubblica amministrazione andranno individuate «fasce di reperibilità», anche se il controllo e la valutazione delle performance dovranno spostarsi sui risultati più che sulla presenza fisica. La disciplina puntuale dello smart working è affidata all’autonomia di ogni amministrazione, all’interno però di un quadro definito puntualmente dalla direttiva in arrivo dalla Funzione pubblica. Intanto giusto ieri Palazzo Chigi ha firmato la direttiva per i propri dipendenti, che prevede lo smart working per un massimo di cinque giorni al mese, anche spezzabili in mezze giornate, per il 10% dei propri dipendenti, da individuare con bandi semestrali.

Domani in Conferenza Unificata
Le istruzioni generali che saranno invece domani sui tavoli della Conferenza Unificata (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa di ieri) individuano prima di tutto una serie di «criteri di priorità», che chiedono alle amministrazioni di mettere in prima fila i dipendenti che «si trovano in situazioni di svantaggio personale, sociale e familiare», oltre a quelli «impegnati in attività di volontariato». Nei propri atti organizzativi, che andranno preceduti da un «documento programmatico» da trasmettere ai sindacati, le Pa potranno ovviamente individuare settori esclusi per incompatibilità dallo smart working; ma l’obiettivo, ambizioso, è quello di coinvolgere in tre anni «almeno il 10% dei dipendenti, ove lo richiedano» e sulla capacità di organizzare il lavoro agile si misurerà anche una quota della performance, e dunque della retribuzione di risultato, dei dirigenti.Il suggerimento, in ogni caso, è quello di partire con un «progetto pilota» all’interno di un’unità organizzativa che si presta alla bisogna, per poi estendere la pratica ad altri uffici.

Obiettivi e passaggi organizzativi
La direttiva individua in modo puntuale obiettivi e passaggi organizzativi, ma non nasconde i nodi problematici. Il primo riguarda quello di computer e dotazioni informatiche necessarie al lavoro a distanza. Le amministrazioni, “suggerisce” Palazzo Vidoni, non dovrebbero prevedere nei propri atti «l’obbligo di fornire la strumentazione necessaria»; e in ogni caso l’avvio dello smart working dovrà avvenire «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», come recita la solita formula che torna anche nella norma-madre dello smart working pubblico (l’articolo 14 della legge 124 del 2015). Il telelavoro, però, ha tra i propri obiettivi anche quello di «realizzare economie di gestione attraverso l’impiego flessibile delle risorse umane», per cui gli uffici potrebbero destinare all’informatica i risparmi (se certificati) che si ottengono per questa via. In ogni caso, prima di partire ogni Pa dovrà risolvere problemi non banali di sicurezza informatica.

La direttiva

La direttiva per Palazzo Chigi

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