Personale

La legge regionale non può imporre il tetto di 48 ore settimanali ai medici incaricati nei penitenziari

di Daniela Casciola

Una norma regionale non può imporre autoritativamente il tetto massimo orario in quarantotto ore settimanali ai medici incaricati definitivi degli istituti penitenziari perché illegittimamente invade la materia riservata alla competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, violando così l'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione. La Consulta, con la sentenza n. 121, depositata venerdì, ha bocciato così l'articolo 21, comma 7, della legge della Regione Puglia 25 febbraio 2010 n. 4.

Il ricorso
La questione trae origine dall'impugnazione di una delibera della Giunta regionale della Puglia del 2014 – in applicazione del censurato articolo 21, comma 7, della legge regionale n. 4 del 2010 - che imponeva a tutte le aziende sanitarie locali pugliesi l'obbligo del rispetto nei confronti di tutto il personale sanitario, medici e infermieri, del tetto massimo di quarantotto ore settimanali di lavoro, ricomprendendo sia il lavoro svolto all'esterno degli istituti di pena, sia quello svolto in regime di parasubordinazione all'interno degli stessi. I ricorrenti che, a causa di questa normativa, si sono visti costretti a rinunciare agli altri incarichi da loro ricoperti rispetto a quello di medico penitenziario ovvero alla riduzione del monte ore settimanale presso l'istituto penitenziario, hanno adito il Tar per la Puglia che ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale della disposizione regionale.

La decisione
La Consulta comincia col ribadire, come più volte sottolineato, che la disciplina dei vari profili del tempo della prestazione lavorativa deve essere ricondotta alla materia dell'ordinamento civile, in quanto parte integrante della disciplina del trattamento normativo del lavoratore dipendente, sia pubblico che privato.
Ribadisce pure quanto già detto in ordine alle prestazioni rese dai cosiddetti “medici incaricati” nell'ambito degli istituti di pena, chiarendo che esse «non ineriscono ad un rapporto di lavoro subordinato, ma sono inquadrabili nella prestazione d'opera professionale, in regime di parasubordinazione» (sentenza n. 149 del 2010).
In sostanza, esula dalla competenza legislativa regionale la qualificazione delle fattispecie in termini di lavoro autonomo o lavoro subordinato, come presupposto della loro regolamentazione, trattandosi di materia rientrante nell'ambito dell'ordinamento civile e, quindi, di esclusiva competenza del legislatore statale.
Né a questa conclusione potrebbe opporsi il fatto che la regolazione dell'orario di lavoro del personale pubblico regionale assume sugli assetti organizzativi dei servizi che la Regione deve assicurare, trattandosi di competenza residuale che deve essere esercitata nel rispetto dei limiti derivanti da altre competenze statali, quali, appunto, quelle in materia di ordinamento civile.
In conclusione, la Corte ricorda che, in presenza di una materia attribuita alla competenza esclusiva dello Stato, alle Regioni è inibita anche la mera riproduzione della norma statale. Da ciò consegue l'illegittimità costituzionale dell'articolo 21, comma 7, della legge della Regione Puglia 25 febbraio 2010 n. 4, per violazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

La sentenza della Corte costituzionale n. 121/2017

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