Personale

Licenziabile per doppio lavoro il dipendente delle Entrate che procaccia affari all’esterno

di Paola Rossi

La contestazione disciplinare che abbia una propria autonomia, ma anche risvolti penali, e per la quale può anche non esserci un’ imputazione, non fa scattare la pregiudiziale penale, cioè si può procedere al licenziamento anche senza attendere la condanna per gli altri comportamenti sub iudice. E anche in caso di assoluzione del dipendente il procedimento disciplinare sospeso può ben riprendere in ordine alle contestazioni - ugualmente di rilevanza penale - delle altre violazioni commesse dal dipendente pubblico e sulle quali vi sia stato esito diverso dall’assoluzione. Così la Corte di cassazione, con la sentenza n. 14320/2017 depositata ieri ha respinto il ricorso di un dipendente delle Entrate.

Quando non scatta la pregudiziale penale
Il ricorrente riteneva illegittimo il proprio licenziamento disciplinare in quanto adottato dal datore di lavoro pubblico senza attendere le conclusioni del processo penale. Anche se nel ricorso il dipendente delle Entrate non ha chiarito se l’accertamento del giudice penale riguardasse anche l’acclarato svolgimento di una doppia attività lavorativa. Comunque sia la Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento in quanto procacciava clienti a favore di un’assicurazione, attività vietata e ammessa anche dall’imprenditore favorito dal doppio lavoro del dipendente pubblico. Inoltre, la Corte fa notare che il procedimento disciplinare - motivato sull’illecita doppia attività lavorativa -seppure non fosse stato di per sé oggetto dei procedimenti penali instaurati a carico del dipendente ciò non impediva in alcun modo la sanzione adottata dal datore di lavoro. Men che mai se i fatti oggetto del procedimento amministrativo non fossero coincidenti con quelli sotto la lente del giudice penale. Nei confronti del dipendente era stato infatti instaurato anche un procedimento penale per le fatturazioni fittizie remunerative dell’attività illecita.

I rapporti tra procedimento e processo
Nel pubblico impiego la norma della legge 97/2001 (ora modificata), che regola i rapporti tra l’iter disciplinare e il processo penale, non ammette deroghe neanche da parte della contrattazione collettiva, quando prescrive il rispetto da parte dell’autorità disciplinare dell’accertamento fatto dal giudice penale in contraddittorio col dipendente-imputato. Per cui il regime giuridico previsto - secondo la Cassazione - opera di sicuro una compressione dei poteri valutativi dell’amministrazione in ordine ai fatti posti già a base di una condanna o di un’assoluzione e punta a scongiurare che in sede disciplinare possano essere elusi gli esiti del giudizio penale. Come dice la sentenza il Legislatore ha voluto garantire - anche nell’iter della contestazione disciplinare - la tutela dei diritti di difesa del lavoratore sulla falsariga del processo penale , in quanto fortemente garantista, almeno sul piano del contraddittorio tra le parti. A conferma di tale impostazione la sentenza riporta anche le direttive della Consulta che stabiliscono un divieto assoluto di sanzioni disciplinari automatiche e l’illegittimità di norme aventi a oggetto l’anticipazione degli esiti disciplinari prima del passaggio in giudicato della sentenza penale.

Il caso concreto
Nel caso concreto secondo la Cassazione l’addebito disciplinare non era vincolato alla definizione del giudizio penale, cioè alle qualificazioni e conclusioni adottate dal giudice, per cui il procedimento amministrativo legittimamente non era stato sospeso in relazione alla specifica incolpazione del doppio lavoro. Infatti, il procacciamento di affari costituiva attività svolta in maniera sistematica e non autorizzata o autorizzabile, per cui si trattava di contestazione disciplinare che gode di autonomia rispetto al processo penale, quindi di per sé sufficiente causa di licenziamento. Da ciò si può affermare che l’obbligo di operare la sospensione per la pregiudiziale penale opera unicamente quando la definizione processuale possa incidere sul giudizio disciplinare.

La sentenza della Corte di cassazione civile n. 14320/2017

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