Personale

Tutti i fondi da trovare per il rinnovo dei contratti

di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan

Partenza con il freno a mano tirato per i rinnovi contrattuali dei dipendenti della Pa (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 26 giugno 2017). Il Governo vuole accelerare i tempi, impartendo all'Aran la relativa direttiva. In questa, però, non si trovano le soluzioni ai parecchi dubbi che sorgono dalla sua lettura. Se da un lato il documento, per natura, deve avere contorni abbastanza sfumati, dall'altro è indubbio che non si trovano quei binari entro i quali l'Aran può e deve muoversi.

L'aspetto economico
La prima grande incognita è rappresentata dall'aspetto economico: tutti concordano sul fatto che le risorse attualmente previste per tale scopo e rese disponibili dalle leggi di bilancio dell'anno 2016 e 2017 non coprano gli oneri derivanti da quell'aumento medio di 85 euro già fissato nell'accordo dello scorso 30 novembre. Ma questo cosa vuol dire? Due possono essere le conseguenze: il rinvio dei rinnovi contrattuali al momento in cui, con la legge di bilancio 2018, saranno reperite le risorse mancati, vale a dire la primavera prossima, oppure la sottoscrizione dei Ccnl con una clausola di salvaguardia che preveda la rinegoziazione nel caso in cui, in futuro, non vengano rimpinguate le disponibilità.

I costi ulteriori
Ma se questo non bastasse, nella direttiva si legge in più parti che vengono introdotti nuovi istituti, che la stessa Funzione pubblica ammette abbiano un costo. Questo deve trovare capienza nelle risorse messe a disposizione per i rinnovi contrattuali. Ne sono esempi le iniziative da intraprendere nel campo del welfare contrattuale, il recepimento della normativa contenuta nel Dlgs n. 80/2015 in tema di congedi di maternità, paternità e congedi parentali, le misure atte a incentivare l'adesione alla previdenza complementare. Una questione non di poco conto è rappresentata dalla quantificazione di questi ulteriori costi. E allora la domanda sorge spontanea: gli oneri in questione vanno a erodere le risorse messe a disposizione per l'incremento medio degli 85 euro mensili, riducendo, di fatto, l'incremento della busta paga di una quantità non ben identificata, oppure si aggiungono al budget previsto, costringendo, in tal modo, il Governo a compiere sforzi ulteriori rispetto a quelli già messi in conto, rendendo ancora più arduo il compito?

Le buste paga
Alla fine, però, ai lavoratori pubblici interessa quanto entrerà in busta paga direttamente. Anche questo è un bel nodo da sciogliere. Secondo la direttiva, per il comparto «Funzioni centrali» l'aumento dello stipendio fisso dovrebbe essere finanziato con le risorse oggi disponibili, che valgono, più o meno, la metà dei famosi 85 euro. Gli stanziamenti ancora da reperire saranno destinati alla parte fissa o variabile della retribuzione sulla base delle risultanze della contrattazione collettiva. Un punto è certo: gli incrementi si aggiungeranno all'indennità di vacanza contrattuale già in godimento.
In tale contesto deve trovare posto anche la salvaguardia degli 80 euro del bonus Renzi: la contrattazione ha l'onere di individuare la modalità per riconoscere a determinati soggetti un'indennità che, in pratica, attutisca la riduzione del predetto bonus per effetto degli aumenti contrattuali. Come saranno individuati i soggetti, quali saranno i livelli di reddito tutelati e come sarà modulata la nuova indennità sono domande a fronte della quali la risposta sembra ardua.

La consultazione
Un altro passaggio delicato, avvolto dalla nebbia, consiste nell'introduzione di un nuovo strumento di partecipazione sindacale: la consultazione. Sembra porsi fra l'informazione e la vecchia concertazione e potrebbe concretizzarsi nell'informazione alle organizzazioni sindacali a cui deve seguire un parere da parte delle stesse. La contrattazione dovrà, necessariamente, fare chiarezza anche su questo nuovo istituto.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©