Personale

Il lavoratore «di fatto» subordinato non è licenziabile senza tutele

di Giampaolo Piagnerelli

Illegittimo il licenziamento dalla società partecipata che, ritenendo di avere alle dipendenze un esterno e non un dipendente subordinato, decida di troncare il rapporto senza rispettare le garanzie in termini di contraddittorio previste dall'articolo 7 della legge 300/1970. Lo chiarisce la Cassazione con la sentenza n. 17160/2017, depositata ieri.

La vicenda
Il datore, nel caso un'azienda partecipata nel settore lattiero caseario, aveva ritenuto legittima la propria decisione di licenziare un soggetto che a suo dire non poteva essere considerato come subordinato. Avendo perso in secondo grado l'imprenditore ha proposto ricorso in Cassazione. Tra i motivi di impugnazione la circostanza che fosse stato contrattato un corrispettivo a percentuale sui prodotti trasportati e consegnati, rimanendo peraltro a carico del lavoratore le spese di gestione anche dell'automezzo della società datogli in comodato. Aveva, inoltre, la libertà di stabilire il giro delle consegne e operava in assenza di orari prestabiliti nell'ambito di fasce orarie indicate dall'azienda. La Corte, non potendo rivalutare la vicenda nel merito, ha citato alcuni passaggi decisivi della sentenza di secondo grado. E sulla base di quest'ultima il lavoratore doveva essere considerato subordinato a tutti gli effetti in quanto aveva il compito di consegnare i prodotti commercializzati dalla società, il compenso era fisso e solo in parte in percentuale in relazione alla quantità di merce consegnata, il mezzo usato non era di sua proprietà, aveva un'area assegnata e una clientela già acquisita, vi era un preciso orario per il carico della merce e l'ordine di consegna proveniva non già dal venditore ma esclusivamente dall'azienda. Come se non bastasse veniva controllato nel suo lavoro dall'ispettore commerciale, i prezzi erano determinati dalla società e non vi erano margini per effettuare sconti.

Conclusioni della sentenza
Dalle precedenti considerazioni i Supremi giudici hanno evidenziato quindi che gli spazi di libertà e i margini di discrezionalità nell'attività esercitata fossero davvero esigui a fronte, invece, di controlli ben precisi e regole da rispettare. Altro quindi che attività imprenditoriale condotta in piena autonomia ma si trattava di un dipendente con diverse regole a cui attenersi. Proprio per questo motivo il datore avrebbe dovuto rispettare le garanzie previste dall'articolo 7 della legge 300/1970 in modo che il prestatore avesse tempi adeguati per poter contestare la misura inflitta.

La sentenza della Corte di cassazione n. 17160/2017

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