Personale

L'incarico di Ctu al dipendente pubblico non va autorizzato dall'amministrazione di appartenenza

di Massimiliano Atelli

Con la sentenza n. 3513 del 17 luglio 2017, la VI Sezione del Consiglio di Stato ha chiarito che non incappa nel divieto di cui all’articolo 53, Dlgs 165/2001, rubricato “Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi”, l'accettazione da parte di un dipendente pubblico dell'incarico di consulente tecnico del giudice.
In tema, è noto che l'articolo 53, ai commi 7, 8 e 9 stabilisce per i dipendenti pubblici un divieto generale di assumere - senza autorizzazione dell’amministrazione cui appartengono - incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza, e corrispondentemente proibisce alle altre amministrazioni, agli enti pubblici economici e ai privati, di conferirli senza tale autorizzazione.
Ciò detto, per la VI Sezione gli “incarichi “ai quali le norme citate fanno riferimento sono infatti di tipo essenzialmente diverso da quelli di consulenza tecnica.
In primo luogo in considerazione del soggetto che li conferisce, che è l’Autorità giudiziaria, ovvero il giudice o il Pm ai sensi degli articoli 221 e 233 Cpp, 191 Cpc e 19 comma 2 Cpa, e quindi un soggetto non identificabile con le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici economici ovvero i privati cui il citato articolo 53 si riferisce.
Inoltre, anche per la natura intrinseca dell’incarico, che non costituisce l’oggetto di un contratto di prestazione d’opera professionale o di altro tipo, ma una funzione pubblica che si adempie a fini di giustizia: così Cass. civ. sez. II, sentenza n. 4424/2017.
Del resto, lo conferma anche il relativo regime giuridico, per cui l’assunzione dell’incarico è doverosa, come si ricava dall’articolo 366 Cp, secondo il quale costituisce reato la condotta di chi, nominato all’ufficio, ne ottenga con mezzi fraudolenti l’esenzione, e dall’articolo 63 Cpc, per cui il consulente scelto tra gli iscritti in un albo ha l'obbligo di prestare il suo ufficio, tranne che il giudice riconosca che ricorre un giusto motivo di astensione.
Conseguentemente, un’interpretazione delle norme dell’articolo 53 Dlgs 165/2001 nel senso di comprendere comunque gli incarichi di consulente tecnico per l’autorità giudiziaria sarebbe contraria alla Costituzione.

Il caso
Nella specie, un’amministrazione pubblica aveva adottato un regolamento attuativo dell'articolo 53, assoggettando a necessaria autorizzazione anche l'assunzione dell'incarico di consulente tecnico del giudice. 

Argomenti, spunti e considerazioni
La decisione della VI Sezione persuade appieno.
Occorre sempre evitare che gli obiettivi di trasparenza e gestione dei conflitti di interesse (quando ricorrenti), sfocino in una autolesionistica «caccia alle streghe».
In primo luogo, perché se la demonizzazione degli incarichi regolati dall'articolo 53 avesse davvero un senso, forse l'articolo 53 stesso non li ammetterebbe proprio, anziché ammetterli dietro autorizzazione.
In secondo luogo, perché la vicenda da cui la decisione ha preso le mosse rende bene il paradosso cui un approccio ideologico a questi temi può condurre: siamo sicuri che deve avere la precedenza il potere dell'amministrazione di appartenenza di autorizzare il proprio dipendente su quello del giudice di nominare un consulente tecnico per dirimere una lite fra parti private?
Bene fa, dunque, la VI Sezione, a ricordare la sentenza della Corte costituzionale 14 aprile 1998 n. 440 che ha ritenuto contrastante con l’articolo 101 della Costituzione, e con l’indipendenza della Magistratura da esso garantita, una norma di legge, la quale vietava al magistrato di scegliere il perito cui affidare la perizia in materia di opere d’arte e lo obbligava a tal fine a rivolgersi ad un organo amministrativo, nella specie al Ministro per i beni culturali, per averne l'indicazione della persona alla quale conferire il relativo incarico. E’ infatti evidente, hanno chiosato i giudici di Palazzo Spada, che è solo formale l’indipendenza di un Giudice al quale è precluso, o reso difficile, accedere alle conoscenze tecniche e specifiche necessarie al corretto apprezzamento dei fatti da giudicare. 

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