Personale

Il costo infinito dei concorsi bloccati

di Marcello Clarich

Anche la trasformazione di Equitalia Spa in un nuovo ente pubblico economico autorizzata a fine 2016 dal cosiddetto collegato fiscale rischia di arenarsi in una secca già visibile: il trasferimento in blocco del personale in violazione della regola del concorso sancita dalla Costituzione (articolo 97). A lanciare l'allarme è stato ancora una volta il giudice amministrativo. Il Consiglio di Stato, pur non sospendendo l'iter di trasformazione per non compromettere la continuità operativa, ha richiesto al Tar del Lazio di definire prima possibile la controversia promossa della Federazione del Pubblico Impiego (ordinanza n. 3213/2917). Secondo i giudici di Palazzo Spada, la norma del collegato fiscale che consente il passaggio automatico del personale in applicazione delle norme civilistiche sul trasferimento dei rami d'azienda è di dubbia costituzionalità. Il Consiglio di Stato ha infatti richiamato due precedenti della Corte costituzionale. Il primo ha sconfessato il tentativo del legislatore nel 2012 di prorogare senza limiti temporali certi i funzionari incaricati dell'agenzia delle Entrate, del territorio e delle dogane assunti a tempo determinato negli anni precedenti senza concorso (sentenza n. 37/2015). Un'altra sentenza del 2016 ha annullato una legge della Regione Calabria che consentiva il trasferimento automatico nei ruoli regionali di dipendenti di un tipo particolare di associazioni private in caso di scioglimento volontario (le associazioni di divulgazione agricola). Secondo la Corte costituzionale il passaggio del personale da soggetti privati a enti pubblici - ed è proprio questo il caso di Equitalia - richiede un concorso (sentenza 248/2016). Secondo la Consulta la deroga al principio del concorso che la Costituzione ammette in alcuni casi, non può essere giustificata né dall'interesse alla difesa dell'occupazione, né da quello di acquisire il personale necessario per lo svolgimento delle attività istituzionali. La secca verso la quale sta facendo rotta la riforma di Equitalia sembra offrire poche vie di scampo. Del resto la nuova “Agenzia delle entrate-riscossione”, ente strumentale dell'agenzia delle Entrate, che subentra a Equitalia è stata istituita nella forma dell'ente pubblico economico. Questi enti, al pari delle pubbliche amministrazioni (ma anche delle cosiddette società in-house), secondo la giurisprudenza più recente, non possono assumere liberamente il proprio personale. Al di là del caso specifico, il problema più generale che affligge quasi tutte le amministrazioni statali e locali è la difficoltà di bandire i concorsi a ritmi regolari e con tempistiche certe. Blocchi periodici del turn-over per ragioni di finanza pubblica, bandi di concorso di cattiva fattura, prove selettive mal gestite, con immancabili ricorsi al giudice amministrativo, stanno depauperando la capacità delle amministrazioni di far fronte in modo adeguato ai propri compiti. Se esse non possono acquisire il personale necessario, non devono stupire le classifiche internazionali che le vedono nelle posizioni di coda. Il recentissimo rapporto InCisE curato dall'Università di Oxford, che colloca gli apparati centrali dello Stato italiano al ventisettesimo posto su trentuno Paesi censiti, individua come un fattore di debolezza proprio l'amministrazione fiscale. Come per altri mali della pubblica amministrazione, i rimedi non sono semplici. Se la regola del concorso a presidio dell'imparzialità non può essere abbandonata o elusa, occorre il massimo sforzo per rimettere in moto la macchina delle procedure selettive. Poiché il turnover e il fabbisogno di personale sono elementi prevedibili, una buona programmazione e una gestione efficiente dei concorsi dovrebbero consentire di invertire la tendenza. Per far fronte alle emergenze, andrebbero rese ancor più snelle le procedure per la mobilità interna del personale che non sono vincolate alla regola del concorso. Nel caso di Equitalia, il Tar del Lazio potrà forse salvare il trasferimento del personale respingendo il ricorso senza entrare nel merito. Il Consiglio di Stato sottolinea infatti l'esigenza di valutare in quella sede «le eccezioni di rito sollevate». Ma questo éscamotage non risolverebbe certo il problema più generale.

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