Personale

Pa, nuove assunzioni solo se non è possibile ricollocare il personale in disponibilità

di Luca Tamassia

Nell'ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di personale, oggi definito “piano” dei fabbisogni, l'avvio di procedure concorsuali e le nuove assunzioni a tempo indeterminato o determinato per un periodo superiore a dodici mesi, sono subordinati alla verificata impossibilità di ricollocare il personale in disponibilità iscritto nell'apposito elenco. Così recita l’articolo 34, comma 6, del Dlgs n. 165/2001, nella formulazione che risulta a seguito della sua sostituzione operata dall’articolo 5, comma 1, lett. c), del Dl n. 90/2014, convertito dalla legge n. 114/2014. La disposizione, nella sua portata, appare del tutto comprensibile ed esente da difficili elusioni, pur tuttavia nella pratica applicazione non tutte le amministrazioni pubbliche si sono allineate alle sue prescrizioni, soprattutto per quanto attiene alle assunzioni a tempo determinato dei ruoli dirigenziali, laddove gli enti sono, ancora oggi, piuttosto inclini a sacrificare i criteri d’imparzialità e trasparenza a favore di assunzioni scevre da qualsiasi costrizione normativa e, proprio per questo, appaiono ancora assai refrattari a ogni forma di limitazione imposta dal legislatore e ricalcitranti quando le norme di legge impongono condotte ritenute non in linea con un malinteso concetto di discrezionalità pubblica.

Verso un utilizzo razionale delle risorse umane
La finalità della norma richiamata non può, certamente, apparire enigmatica, in quanto tende a far sì che - pur in relazione a esigenze funzionali di natura transitoria o a opportunità di assunzioni a termine per periodi di durata significativa, ancorché a copertura, in via derogatoria, di posti vacanti in dotazione organica - il fine collettivo, cui l’azione dell’amministrazione è costantemente protesa, sia compiutamente conseguito attraverso il razionale utilizzo delle risorse umane che già stazionano nell’ambito del sistema pubblico, di talché il personale collocato in disponibilità ai sensi delle vigenti disposizioni ordinamentali e, in base a queste, percettore dell’indennità di cui all’articolo 33, comma 8, dello stesso decreto legislativo, possa, da un lato, attenuare l’onere della spesa pubblica mediante il richiamo, anche se temporaneo, a prestazioni attive di lavoro che giustifichino, in talune situazioni, l’erogazione di valori economici a carico dell’erario, dall’altro lato impedire che l’amministrazione interessata possa originare ulteriore spesa a carico del sistema pubblico in presenza di adeguate professionalità che, collocate in diponibilità, non vengano utilmente “sfruttate” per la fornitura delle relative prestazioni di lavoro. La previsione legislativa, infatti, si preoccupa, opportunamente, di statuire che il riconoscimento all'indennità pari all'80% dello stipendio previsto, dal citato comma 8, per la durata massima di ventiquattro mesi di stazionamento in posizione di disponibilità, venga sospeso nel corso del periodo in cui i dipendenti sono utilizzati, con rapporto di lavoro a tempo determinato, presso altre amministrazioni pubbliche, atteso che l'onere retributivo è a carico dall'amministrazione o dell'ente che utilizza il dipendente.

Lo status di disponibilità
Al termine dell’impiego del dipendente a tempo determinato presso l’ente utilizzatore, lo stesso riacquisirà lo status di disponibilità previsto dall’ordinamento e il termine massimo di collocamento in disponibilità ricomincerà a decorrere dal momento della sua sospensione a causa del diverso utilizzo del lavoratore presso altra amministrazione pubblica. In tal modo, quindi, il dipendente è certamente tutelato, ai fini del mantenimento del posto di lavoro, anche dopo la cessazione del rapporto a tempo determinato presso l’ente utilizzatore, pur nel limite massimo biennale indicato dalla legge, e l’amministrazione di utilizzo avrà sopportato la corrispondente spesa per la costituzione del rapporto di lavoro a tempo determinato che, comunque, avrebbe dovuto sostenere se fosse ricorsa al mercato del lavoro, sgravando, in modo corrispondente, l’ente di appartenenza organica che, diversamente, avrebbe continuato a sostenere la conseguente spesa per l’erogazione dell’indennità di disponibilità che la norma prescrive pur in carenza di qualsiasi prestazione lavorativa.

Gli incarichi ex articolo 110
La razionalità di sistema, dunque, appare inconfutabile, come incontestabile risulta la stretta necessità di osservare tale disposizione, la quale, alla stregua di norma di coordinamento di finanza pubblica, risulta di assoluta precettività in relazione a qualsiasi posizione lavorativa l’ente intenda reclutare, dai ruoli dirigenziali, sino alle posizioni meramente esecutive, anche acquisibili attraverso il generale sistema di collocamento, attesa l’evidente carenza di espresse deroghe normative o di limitazioni riservate a particolari categorie di lavoratori. Tale impianto, quindi, risulta certamente obbligatorio anche per tutte quelle amministrazioni pubbliche che avessero necessità di affidare, tra gli altri, incarichi dirigenziali con rapporti di lavoro a tempo determinato superiori all’anno (in particolare, per le amministrazioni locali, in applicazione dell’articolo 110, commi 1 e 2, del Tuoel approvato con Dlgs n. 267/2000), le situazioni per le quali gli enti appaiono più inclini a incappare nelle inosservanze normative, di fatto non dando esecuzione al precetto legislativo e omettendo il preliminare passaggio del tentativo obbligatorio di ricollocazione temporanea del personale interessato imposto dall’ordinamento.

Considerazioni conclusive
A tal proposito, peraltro, non pare inopportuno esprimere un paio di osservazioni, di cui la prima afferisce ai tentativi elusivi che le amministrazioni potrebbero essere tentate di mettere in campo, la seconda, invece, inerente agli effetti giuridici conseguenti all’inosservanza dispositiva. Sotto il primo profilo, infatti, merita evidenziare che una prima costituzione del rapporto di lavoro nell’ambito dell’annualità con lo scopo di operare, successivamente, una proroga elusiva del dettato legislativo non potrebbe che sortire conseguenze di aggravamento delle responsabilità, posto che, in tal caso, il metro di valutazione, ai fini dell’accertamento della legittimità del comportamento adottato dall’ente, si appunterebbe, fatalmente, sulle motivazioni che hanno indotto l’amministrazione a operare una proroga del rapporto originario, per cui un’eventuale verifica del comportamento evasivo posto in essere dall’amministrazione non potrebbe che condurre all’accertamento di condotte caratterizzate da dolo amministrativo e non solo da colpa grave (ciò che, dunque, metterebbe a serio rischio il patrimonio personale dei responsabili, in presenza dell’impossibilità di funzionamento della copertura assicurativa per responsabilità erariale). Per quanto attiene, viceversa, all’ulteriore profilo di considerazione, occorre osservare come, l’ordinamento, abbia, progressivamente, mutato il quadro patologico degli atti e dei comportamenti assunti dalle amministrazioni pubbliche, giungendo, via via, ad abbandonare i tradizionali modelli della nullità degli atti, intesa come improduttività degli effetti giuridici da questi generati, rilevabile esclusivamente laddove tale sanzione fosse stata comminata espressamente dall’ordinamento generale o particolare, pervenendo, per contro, a una diversa costruzione patologica, conseguente e funzionale alla necessità del rispetto degli obblighi sovranazionali derivanti dalla compiuta integrazione europea.  L’inefficacia giuridica degli atti, oggi, non è più riconoscibile esclusivamente e limitatamente alle ipotesi di espressa previsione normativa, ma, ancor più, appare coessenziale all’esigenza di assicurare il rispetto dei doveri che derivano dagli obblighi comunitari e, tra questi, quelli di natura economico-finanziaria cui le prescrizioni legislative di coordinamento della finanza pubblica sono chiaramente preordinate. La violazione di disposizioni legislative che presentino tale natura, pertanto, è da ritenersi generatrice della nullità insanabile degli atti in contrasto assunti dall’amministrazione pubblica, anche in assenza di un’esplicita previsione della relativa patologia espressamente indicata dalla norma. Tale assunto, conclusivamente, non può che portare ad un aggravamento del carattere e della portata, anche in termini di effetti concreti, delle inosservanze normative operate in tale contesto di intervento. Uomo avvisato…

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