Personale

Pensioni, trascorsi 10 anni sono irripetibili le somme erroneamente corrisposte

di Giuseppe Nucci

L'erogazione, a titolo di pensione, di prestazioni monetarie non dovute non può essere recuperata in presenza di circostanze obiettive come il decorso del tempo protratto al punto da ingenerare nel percettore un ragionevole affidamento sulla legittimità delle somme attribuite. È questo il principio affermato dalla sentenza n. 383 del 12 settembre 2017 della Corte dei Conti, sezione per la Puglia.

La pensione di reversibilità
A seguito del decesso di un lavoratore in quiescenza compartecipavano alla pensione di reversibilità la vedova e le tre figlie. Successivamente l'Inps procedeva al recupero della somma di 25.628,53 € sul presupposto dell'omessa comunicazione del compimento del 26° anno di età delle figlie - studentesse universitarie - che avevano continuato a percepire indebitamente la pensione. La vedova proponeva ricorso avverso il provvedimento invocando la propria buona fede ed il lungo periodo trascorso, circa 10 anni, tra l'evento estintivo del beneficio e la richiesta di restituzione.

Il decorso del tempo, orientamenti giurisprudenziali
Per l’orientamento tradizionale anche al di fuori dei casi in cui sia applicabile l'articolo 206 del Dpr n. 1092/1973, il recupero di maggiori somme erroneamente corrisposte a titolo di trattamento di quiescenza non può comunque prescindere dalla valutazione della buona fede del percipiente (sezioni riunite, 8 febbraio 1989 n. 77/C). E’ seguito, a distanza di dieci anni, l’orientamento opposto, per il quale, al di fuori della sfera di applicabilità dell'articolo 206, non sussiste la possibilità per il giudice di attribuire rilievo alla buona fede del percettore per somme erroneamente corrisposte dall'amministrazione su trattamenti provvisori, anche se sia decorso un notevole lasso di tempo (sezioni riunite, 14 gennaio 1999 n. 1/QM). Successivamente la questione del decorso del tempo è stata oggetto di un ripensamento da parte delle sezioni riunite della Corte dei conti, secondo la quale le sopravvenute disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 241, hanno natura integrativa precettiva nel senso che, con l'articolo 2, è stato normativamente introdotto il principio della generalizzata certezza dei tempi dell'azione amministrativa e, quindi, l'obbligo per l'amministrazione di concludere il procedimento con un provvedimento espresso entro un limite temporale certo e oggettivamente predeterminato (dal Legislatore e/o dall'amministrazione). Su questo presupposto si fonda, da un lato, l'affidamento oggettivo e qualificato del pensionato nella durata dei procedimenti che lo riguardano e, dall'altro, un limite certo - in capo all'amministrazione - alla possibilità di concludere il procedimento di accertamento e di recupero dell'indebito oltre il confine temporale fissato, dovendosi così escludere la possibilità di esercizio del potere di recupero alla scadenza di detto limite.
Conseguentemente, in assenza di dolo dell'interessato, non potrà più essere effettuato il recupero dell'eventuale indebito, decorso il termine finale per la emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, stante il consolidamento della situazione esistente, fondato sull'affidamento riposto nell'amministrazione. A questi principi di diritto - affermati dalle sezioni riunite nella decisione n. 7/2007/QM e recepiti dalle sezioni giurisdizionali regionali - il Giudice de quo non ha ritenuto, tuttavia, di dover aderire.
A suo avviso, infatti, le conclusioni di tale orientamento sono inaccettabili, come nel caso limite in cui il ritardo sia di appena un giorno rispetto al termine previsto in via legislativa o regolamentare. Non ogni affidamento dei privati comporta, quindi, l'effetto di consolidare una situazione di illegittimità, essendo necessario che esso si fondi - per essere legittimo e, quindi, meritevole di tutela - su circostanze obiettive come il decorso del tempo, laddove l'erronea erogazione si sia protratta nel tempo al punto da ingenerare nel percettore un ragionevole affidamento sulla legittimità delle somme attribuite, a prescindere dal termine formale e vincolante previsto dalla legge 241/1990 . Nel caso specifico, dovendosi escludere che alla formazione dell'indebito abbia contribuito la ricorrente - in quanto la cessazione del diritto alla compartecipazione per i figli a carico è automatica, poiché i dati anagrafici non dovevano essere comunicati dalla ricorrente ma rilevati dall'Inps - il Giudice ha affermato l'irripetibilità delle somme corrisposte in più in considerazione del «notevole lasso di tempo trascorso tra la liquidazione del trattamento pensionistico e il provvedimento di ripetizione dell'indebito» che ha consolidato il pieno convincimento della legittimità di quelle somme.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©