Personale

La Pa può chiedere il danno d'immagine davanti al giudice ordinario

di Aldo Monea

Un medico dell’Ausl è condannato, in primo e secondo grado, in base all’articolo 314 (in specie, il comma 2 che prevede il peculato d’uso) del codice penale per aver utilizzato per uso privato un’ambulanza dell’Azienda. La condanna prevede anche il risarcimento del danno in favore della Ausl per danno d’immagine. 

Il peculato d’uso
Il peculato d’uso riguarda il pubblico ufficiale che, per ragione del suo ufficio o servizio, ha il possesso o comunque la disponibilità di una cosa mobile altrui e se ne appropria. Il comma 2 dell’articolo 314 regola proprio il peculato d’uso che si caratterizza per la temporaneità dell’uso e per l’immediata restituzione della cosa, con una pena più attenuata rispetto alla figura generale di reato (da sei mesi a tre anni). Nella fattispecie di reato è particolarmente importante, rispetto al caso in esame, che, il dipendente, avendo il possesso (ha il potere di fatto sul bene, direttamente collegato ai poteri e ai doveri funzionali dell’incarico ricoperto) e ciò per ragione di ufficio o di servizio, se ne appropri nel senso che si comporti uti dominus, come se ne fosse padrone.

I motivi del ricorso in Cassazione
La difesa del dipendente ricorre in Cassazione, soprattutto, per i seguenti profili.
La qualificazione del fatto
- Contesta che l’imputato sia stato citato per i reati di interruzione di pubblico servizio e abuso di ufficio e poi condannato per peculato d’uso, un reato contestato nell’udienza dibattimentale. Segnala, inoltre che la nuova contestazione riguarda fatti non contenuti nella precedente imputazione.
Le contestazioni specifiche
- Denuncia la violazione di legge penale data una presunta erronea individuazione dell’elemento costitutivo del reato ritenuto individuato nel danno economico o funzionale della pubblica amministrazione, che sarebbe inesistente poiché l’uso della cosa pubblica ha avuto carattere estemporaneo. Segnala l’insussistenza di lesione della funzionalità del servizio, non essendovi stata chiamata d’emergenza nel lasso temporale di uso del bene da parte del medico.
Le censure sui profili civilistici
- In relazione al capo civile della sentenza si eccepisce violazione di legge riguardo agli articoli 20 del codice di rito penale, 17, comma 30-ter, del Dl 1° luglio 2009 n. 78 e 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97 perché in base a pronunce delle sezioni Unite della Corte di legittimità e della Corte costituzionale (n. 355 del 2010) sussiste mancanza del potere del giudice ordinario di pronunciare in materia di danni di immagine.

 La decisione
La Cassazione analizza i profili di ricorso e statuisce sui profili ad essi relativi. In relazione all’eccezione di mancata correlazione tra dispositivo e contestazione, la Corte afferma che la modifica della contestazione è avvenuta all’udienza preliminare, sostenendo la violazione dell’articolo 314 c.p., ma lasciando immutata la descrizione in fatto, che fa leva sulla pubblica funzione dell’interessato e sull’uso di un bene pubblico al di fuori del contesto nel quale il pubblico ufficiale era legittimato ad accedervi. Quindi, dall’udienza preliminare emergeva l’attribuzione specifica dei fatti fondanti l’accusa. Peraltro, l’individuazione dell’uso momentaneo del bene, nella fase dibattimentale, è elemento aggiuntivo favorevole all’interessato e non integra l’ipotesi del fatto nuovo. L’eccezione, dunque, è priva di specificità.
Non convince neppure la contestazione inerente alla qualificazione giuridica del fatto. Fin dalla pronuncia di primo grado è emerso un danno patrimoniale (consumo di carburante e usura del mezzo). La Corte di legittimità, in casi analoghi, ha accertato l’illiceità della condotta (sez. VI, n. 25541 del 21 maggio 2009) ove sia dimostrata l’assoluta mancanza di connessione dell’utilizzo con la finalità pubblica. A nulla vale che il medico abbia preavvertito del suo allontanamento, che non è cautela idonea ad escludere l’incidenza sulle modalità di espletamento del servizio. Anche la contestazione sull’irritualità dell’azione civile nel processo penale, mossa interpretando l’articolo 17, comma 30-ter, del Dl n. 78/2009 non regge. Secondo la Cassazione, la disposizione prevede, obbligatoriamente, l’intervento della Procura della Corte dei conti all’esito del giudizio irrevocabile di responsabilità per i reati contro la pubblica amministrazione, ma non considera preclusa l’azione diretta per danno all’immagine, azionata dalla singola articolazione della Pa. La domanda di risarcimento del danno per la compromissione dell’immagine dell’amministrazione non deve essere proposta solo dinanzi alla Corte dei conti, perché nessuna specifica previsione normativa autorizza a ritenere che si sia inteso prevedere un maggiore ambito operativo alla giurisdizione contabile a discapito di quella ordinaria. Ne consegue che è pienamente ammissibile la costituzione di parte civile, stante l’infondatezza dell’eccepito difetto di giurisdizione.

Il dispositivo
La Corte, con la sentenza n. 48603/2017, pertanto, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla costituita parte civile Azienda unità sanitaria locale (Ausl) Umbria 2, che liquida in complessivi 5mila euro per onorari, oltre al 15% per spese generali, Iva e Cpa.

Considerazioni conclusive
La sentenza è pienamente condivisibile, chiarendo il principio secondo cui il giudice ordinario può, nell’ambito della propria giurisdizione, trattare (e condannare in materia) di risarcimento del danno subito dalla Pa in relazione a condotte illecite dei dipendenti. La decisione, infatti, rappresenta applicazione, a sua volta, del principio costituzionale di cui all’articolo 103 della Costituzione che delimita i compiti della giustizia amministrativa e contabile.

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