Personale

Le progressioni 2018-2020 possono evitare il concorso

Uno degli aspetti con il quale le amministrazioni avranno modo di confrontarsi nel prossimo piano delle assunzioni è quello legato alla disposizione transitoria contenuta nell’articolo 22, comma 15, della riforma del pubblico impiego (decreto legislativo 75/2017); il suo obiettivo è di valorizzare le professionalità interne, nei limiti delle facoltà assunzionali, mediante procedure selettive e fermo restando il possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno.
La disposizione reintroduce solo per il 2018-2020 un sistema di passaggio alla categoria superiore, molto simile alle progressioni verticali a suo tempo abolite dalla riforma Brunetta (Dlgs 150/2009) intervenuta anche in seguito agli abusi verificati nelle amministrazioni.

La regola del concorso
Il punto è sempre l’articolo 97 della Costituzione, in base al quale «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».
Deroghe alla regola del concorso sono ammissibili solo nei limiti segnati dall’esigenza di garantire il buon andamento dell’amministrazione (sentenza 477/1995 della Corte Costituzionale) o di realizzare altri principi di rilievo costituzionale, che possono assumere una certa rilevanza per la peculiarità degli uffici di volta in volta considerati: ad esempio, quando si tratta di uffici destinati in modo diretto alla collaborazione con gli organi politici.
L’articolo 4 del contratto nazionale del 31 marzo 1999 affida agli enti il compito di disciplinare le procedure per il passaggio dei dipendenti alla categoria superiore.

La deroga transitoria
In questo scenario, si colloca ora la norma transitoria, che coesiste con l’articolo 52, comma 1-bis, del Dlgs 165/2001, per cui solo per il triennio 2018/2020 sarà possibile ricorrere alle progressioni, a precise condizioni. L’attivazione delle procedure selettive per le progressioni non deve superare, per ciascuna area o categoria (a seconda del contratto di riferimento), il limite del 20% rispetto alle nuove assunzioni; in ogni caso, l’attivazione delle procedure selettive riservate determina, in relazione al numero di posti individuati, la corrispondente riduzione della percentuale di riserva di posti destinata al personale interno. I dipendenti devono avere il titolo di studio richiesto per l’accesso dall’esterno all’area o categoria interessata e non sono ammesse deroghe derivanti dal servizio prestato . Le amministrazioni devono comunque accertate le «capacità dei candidati di utilizzare e applicare nozioni teoriche per la soluzione di problemi specifici e casi concreti».
In questo modo, il legislatore dà la possibilità alle Pa, per i prossimi tre anni, di promuovere i dipendenti con procedure selettive interne, evitando la strada del concorso pubblico con riserva di posti al personale interno ex articolo 52, comma 1-bis, del Dlgs 165/2001.
Vista la finalità espressa dalla deroga, questa procedura dovrebbe costituire un’eccezione al generale procedimento di reclutamento, potendo quindi prescindere dall’esperimento di qualsiasi altra forma di collocamento o ricollocamento di personale (con eccezione della ricollocabilità da esubero da effettuarsi presso il medesimo ente). Altrimenti si ostacolerebbe l’attuazione della regola pensata per valorizzare il personale già dipendente dell’amministrazione.
La norma appare chiara, invece, nella parte in cui definisce che la nuova assunzione a seguito di progressione verticale incide, anche se parzialmente, sul limite di spesa di personale e sulle facoltà assunzionali dell’ente, nei limiti della differenza di costo tra il precedente e il nuovo inquadramento economico che consegue a quello giuridico.

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