Personale

La Consulta promuove il taglio ai compensi variabili degli avvocati pubblici

di Guido Befani

Sono in parte inammissibili e in parte infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento all’articolo 9, commi 2 e 3, Dl n. 90/2014 che hanno modificato la disciplina dei compensi variabili del personale dell’Avvocatura dello Stato, nonché degli altri avvocati dipendenti delle pubbliche amministrazioni, per le prestazioni professionali rese nel difendere in giudizio le amministrazioni di riferimento.
È quanto afferma la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 236/2017.

L’approfondimento
La Corte Costituzionale è intervenuta sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate da diversi Tar, le ordinanze di remissione dei quali, oltre a sollevare dubbi in merito alla esperita decretazione d’urgenza, avevano evidenziato anche diversi profili di censura avuto riguardo alla disparità di trattamento tra il personale dell’Avvocatura dello Stato rispetto agli avvocati degli enti pubblici, alla natura tributaria delle decurtazioni imposte, all’efficacia retroattiva della nuova disciplina, all’incisione su diritti soggettivi legati a rapporti di durata e al vincolo di corrispettività tra lavoro svolto e retribuzione percepita.

La decisione
Nel ritenere infondate e inammissibili le menzionate censure, la Corte, in relazione ai presupposti della decretazione d’urgenza, ha ritenuto omogenea la previsione di taglio rispetto all’oggetto del decreto legge, sia concludendo nel senso che la “congiuntura economica e finanziaria” nella quale la disposizione è stata dettata consente di escludere l’insussistenza del presupposto della straordinaria necessità e urgenza. Peraltro la previsione non è congiunturale ma definitiva.
In relazione alla rilevata disparità di trattamento, la Corte ha evidenziato l’inidoneità del profilo del tertium comparationis proposto, in quanto gli avvocati e procuratori dello Stato sono stati espressamente sottratti al regime della privatizzazione che ha interessato il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, risultando così caratterizzati da una peculiarità ordinamentale che li differenzia dagli altri avvocati dipendenti della Pa, soggetti, di contro, alla contrattazione collettiva.
In relazione alla presunta natura tributaria del taglio del trattamento economico, la Corte ha rilevato la mancanza, nel caso di specie, di due dei tre indefettibili requisiti per la relativa qualificazione, e cioè: la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico; (in termini Corte cost., n. 96/2016; n. 178 e n. 70 del 2015).
La Corte, inoltre, ha escluso il carattere retroattivo della previsione impugnata e la conseguente lesione dell’affidamento, ponendosi in risalto che la decurtazione, incidendo su rapporti di durata, non opera per le prestazioni poste in essere antecedentemente all’entrata in vigore della norma; le limitazioni e decurtazioni imposte sarebbero giustificate viceversa con le esigenze di bilancio e di contenimento della spesa pubblica, maturate nel già invocato contesto di necessità e urgenza indotto dalla grave crisi finanziaria nel cui ambito è intervenuta la novella in contestazione. In tale ottica peraltro non vengono individuati limiti di tutela effettiva rispetto a tali situazioni, genericamente e generalmente intese, circa l’affidamento del cittadino sulla sicurezza giuridica (cfr. Corte cost., n. 16/2017).
Infine, sulla contestata insufficienza della retribuzione, la Corte ha evidenziato come non si possa prescindere da una valutazione complessiva delle diverse voci che la compongono e non può essere svolto per singoli istituti; nel caso di specie viene fatto riferimento alla sufficienza del quadro retributivo complessivo relativo alla categoria di riferimento, in specie allo stipendio tabellare, rimasto insensibile alla novella.

Conclusioni
Alla luce di queste premesse, ne consegue la parziale inammissibilità, da un lato, e la parziale infondatezza, dall’altro, delle questioni di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 2, 3, 4 e 6, 35, 42, 53 e 97 Costituzionale, così come sollevate da diversi Tar nei confronti del citato articolo 9, dovendo dunque negarsi che le disposizioni censurate realizzino arbitrarie e non proporzionate restrizioni, tenuto conto delle già enunciate esigenze di riordino e contenimento della spesa pubblica.

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