Personale

Legge 104: «sì» al permesso per assistere il congiunto ricoverato

di Sabrina D'Amore

I dipendenti pubblici, così come quelli del settore privato, possono richiedere e vedersi riconosciuti permessi per assistere congiunti, che si trovino in condizione di grave disabilità certificata ai sensi dell’articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992. Il dettato normativo prevede che il lavoratore dipendente ha diritto a tre giorni di permesso mensile retribuito, anche in maniera continuativa, per assistere un familiare “(…) a condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno (…)” (articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992).

Il caso pratico
Si pone l’ipotesi di un dipendente che ha necessità di assistere un proprio congiunto, certificato ai sensi del comma 3 dell’articolo 33 della legge n. 104/1992, nell’ipotesi in cui sia ricoverato in una struttura sanitaria che richieda la presenza del familiare, perché ritenuta assolutamente necessaria dai medici. Si potrebbe ipotizzare che con tale presupposto i permessi in questione non possano essere concessi e - sicuramente -  a qualche lavoratore pubblico sarà capitato di vedersi negato il beneficio, perché il familiare da assistere risulta ricoverato.

L’interpretazione “restrittiva”
A parere un’interpretazione che ponga limiti alla fruizione dei permessi, ricorrendo tale circostanza, presta il fianco a condotte abusive. Ma andiamo con ordine e proviamo a fornire un contributo “illuminante” a quanti del settore, in maniera forse un po’ bigotta, associano le richieste dei dipendenti a stratagemmi per essere esonerati da attività lavorativa, così negandone la fruizione.
Con circolare n. 32 del 6 marzo 2012, punto 6), l’Inps ha riconosciuto al lavoratore, tra le altre, la possibilità di fruire dei permessi anche nel caso - eccezionale -  di un soggetto disabile in situazione di gravità, per il quale viene documentato dai sanitari il bisogno di assistenza di un genitore o di altro familiare, ipotesi che con precedenti orientamenti lo stesso Istituto aveva invece relegato al caso di assistenza a minore (circolare n. 155 del 3 dicembre 2010, punto 3). E prima ancora il ministero per la Pubblica amministrazione e innovazione, a seguito delle modifiche introdotte con la legge n. 183/2010, con la circolare n. 13 del 2010, al punto 5, lett. a), aveva individuato, tra le eccezioni al requisito “oggettivo” dell’“assenza di ricovero a tempo pieno”, la circostanza che la persona disabile da assistere non fosse un minore ricoverato, per il quale era certificata la necessità di assistenza di un genitore o familiare.
Altre disposizioni normative disciplinano casi analoghi quale, ad esempio, l’articolo 33 del Dlgs n. 151/2001 che, in materia di prolungamento del congedo parentale, stabilisce che è possibile fruire di tale istituto a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso strutture specializzate, salvo che, in tal caso, la presenza del genitore venga richiesta dai sanitari. E ancora il congedo straordinario, di cui all’articolo 42 del Dlgs n. 151/2001, come modificato e disciplinato dall’articolo 4 del Dlgs n. 119/2011, che prevede la possibilità di fruire di tale forma di astensione dal lavoro anche nei casi in cui l’assistito sia ricoverato a tempo pieno, purché l’assistenza sia richiesta e documentata dai sanitari.
L’articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992, invece, non contiene un’analoga previsione, con la conseguenza che l’interprete formale, limitando la propria lettura al dato letterale della norma, è portato ad escludere il beneficio nel caso che viene analizzato in questa sede.

L’interpretazione estensiva
Un'interpretazione di tipo estensiva è invece più aderente ai principi e alle finalità della legge quadro sull'assistenza alle persone diversamente abili, pertanto, a parere, è possibile fruire di tali permessi anche nelle residuali - ma non così rare - ipotesi in cui l'assistito, ancorché non più minorenne, si trovi ricoverato in strutture sanitarie, qualora la presenza del familiare sia ritenuta necessaria dai sanitari. Il senso di tutto l'impianto normativo della legge 104 è proprio quello dell'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, e non può essere stravolto da una rigida applicazione della norma: la legge è inclusiva, non esclude nessuno dal suo campo di applicazione, tutela tutti gli “attori” coinvolti, il soggetto da assistere, maggiorenne o minorenne che sia, ma anche e non da meno il familiare che presta l'assistenza.

Osservazioni conclusive
Resta inteso che la richiesta del lavoratore, pur essendo legittima, va adeguatamente documentata mediante certificazione medica dalla quale – inequivocabilmente - deve risultare la necessità di assistenza del familiare. Tale certificazione non può essere autonomamente messa in discussione dal datore di lavoro ma, poiché agli Uffici pubblici sono imposti obblighi di controllo, essa può essere sottoposta alla verifica per accertarne la veridicità, con tutte le conseguenze derivanti dall'utilizzo di documentazione falsa o contraffatta. Questo però è un tema diverso da approfondire in altra sede.

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