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Pubblico impiego, nel contratto aumenti «lineari»

Dopo tanto parlarne, la prossima settimana si dovrebbe passare ai fatti per il rinnovo del contratto nazionale degli statali, rimettendo in moto la macchina bloccata dal 2010.
La nuova convocazione del tavolo delle trattative fra l’Aran, l’agenzia che rappresenta la pubblica amministrazione come datore di lavoro, e i sindacati è fissata per mercoledì prossimo, con avvio alle ore 15. Ma, e questo è il segnale decisivo, il programma è quello di una non-stop, che potrebbe prolungarsi anche fino a venerdì. Nel rito dei confronti sindacali, è questo lo scenario che precede di solito la firma dell’intesa.

Gli 85 euro di aumento
A spianare la strada ci sarebbe la soluzione sugli 85 euro di aumento medio promessi dall’intesa fra governo e sindacati del 30 novembre scorso, e finanziati dalla manovra che arriverà al traguardo più o meno in contemporanea. Il testo al centro del confronto riguarda i 300mila dipendenti delle «funzioni centrali», il capitolo che riunisce i vecchi comparti di ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici. Ma come sempre le regole per le amministrazioni statali detteranno la linea anche agli altri settori, cioè scuola, sanità ed enti locali, che nel frattempo stanno portando avanti il lavoro sui loro contratti. Per gli enti territoriali (e per la sanità, finanziata dalle Regioni con il fondo nazionale) resta il problema dei costi, che sono a carico dei singoli bilanci: ma i tentativi di trovare qualche aiuto aggiuntivo in manovra non sono andati a buon fine.
Due, a quanto risulta, gli aspetti principali che sembrano aprire all’accordo: grazie a mini-compensazioni fra i tre ex comparti ora riuniti sotto il cappello delle «funzioni centrali», gli aumenti dovrebbero essere sostanzialmente uguali per tutti. Le compensazioni evitano di penalizzare i dipendenti dei ministeri, che hanno una “massa salariale”, cioè la base di calcolo degli aumenti, più bassa rispetto ad agenzie ed enti non economici.

La distribuzione degli aumenti
Ma oltre a questo passaggio tecnico c’è un aspetto politico da risolvere, cioè la distribuzione degli aumenti fra le diverse fasce di reddito. Il governo in passato aveva lanciato in più di un’occasione l’idea di concentrare i ritocchi sulle buste paga più basse, secondo il meccanismo della «piramide rovesciata»; ma i tempi stretti per la firma, e la pressione sindacale per una distribuzione più lineare, potrebbero portare nei fatti a una soluzione più classica, modificando in modo sostanzialmente analogo i tabellari di tutti.
La firma pre-natalizia del resto è essenziale sia per il governo sia per i sindacati, perché serve a portare gli aumenti nelle buste paga di marzo: periodo di elezioni politiche e di rinnovi delle Rsu del pubblico impiego.

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