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Assunzioni a pioggia dal sapore pre-elettorale

Le circa 20mila stabilizzazioni nella scuola, nelle accademie e nei conservatori sono solo le ultime comparse sulla scena di una manovra che già nella versione originaria di ottobre elencava in modo diretto 12mila assunzioni tra università, tribunali e forze dell’ordine e aprire le porte ai nuovi ingressi in tanti altri enti. E la comparsa contemporanea della scelta di finanziare l’una tantum per i professori universitari prosciugando il fondo Natta, che nel nome del Nobel per la chimica avrebbe dovuto finanziare la caccia a docenti eccellenti, serve a dare il segno all’evoluzione finale della legge di bilancio. Una legge, va ricordato, che dedica al rinnovo contrattuale degli statali una parte larga delle risorse lasciate libere dallo sforzo necessario a fermare gli aumenti Iva delle clausole di salvaguardia.

L’aria elettorale soffia intensa lungo lo sterminato elenco di commi alimentato prima dal Senato e poi dalla Camera. Commi che fanno ripartire a pieno ritmo le assunzioni nelle Province, nelle Città metropolitane e nei piccoli Comuni; moltiplicano le forme di stabilizzazione dei precari aggiungendole al piano “straordinario” già previsto dalla riforma della Pa; liberano dai tetti di spesa gli incentivi per i progettisti appena imbrigliati dalla Corte dei conti. E da Venezia a Napoli a Matera, senza dimenticare la norma-Torino del collegato fiscale, arricchiscono il solito elenco di regole con la targa, tagliate su misura per questo o quel territorio. Con tanti cari saluti alla riforma del bilancio.

Ma c’è di più. Presi singolarmente, alcuni di questi interventi provano a sbloccare situazioni ormai difficili da sostenere. I contratti non si possono congelare in eterno, e non solo perché lo vieta la Corte costituzionale. Il turn over frenato nei piccoli enti finisce per svuotare gli uffici. Dopo anni di contratti a termine i precari maturano un “legittimo affidamento” nell’assunzione. E così via.

Il problema, allora, è quello dell’altalena, fra anni di tagli e blocchi lineari, senza troppe distinzioni tra i tanti livelli della Pa, e ora un «liberi tutti» altrettanto indifferenziato, alimentato dai primi refoli di ripresa e soprattutto dal vento delle elezioni. Il compito di confermare o smentire questa impressione toccherà al nuovo contratto degli statali, che salvo improbabili rotture (il confronto ieri si è scaldato sull’orario di lavoro) dovrebbe arrivare all’accordo in contemporanea con il via libera finale alla manovra. Anche qui, però, c’è un passato da recuperare, perché sul tavolo c’è un triennio (il 2016-2018) già trascorso per due terzi: e in queste condizioni sarà difficile non destinare praticamente tutte le risorse alle voci fisse del tabellare. Nello stesso testo si definiranno i nuovi meccanismi per provare a differenziare i premi di produttività (Il Sole 24 Ore le ha anticipate nei giorni scorsi). Ma l’esperienza insegna che a parità di fondi l’ambizione delle regole produce più delusioni che risultati.

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