Personale

Concorsi pubblici, illegittima l'esclusione per dichiarazione falsa sui requisiti se c'è buona fede

di Giovanni La Banca

In applicazione del principio di leale cooperazione tra le parti, la Pa deve svolgere un’attenta analisi sulle dichiarazioni fornite in sede concorsuale, soprattutto nell’ipotesi di palese equivocità delle clausole del bando, tenendo conto anche delle conseguenze di una attestazione mendace.
Così ha affermato il Tar Lazio, Roma, con la sentenza n. 11962/2017.

Il fatto
Un militare veniva dichiarato decaduto dalla ferma prefissata di anni uno, per aver prodotto, in sede di domanda di partecipazione al concorso per il reclutamento di VFP1 nell’Esercito, una dichiarazione circa il possesso del brevetto di equitazione per sport olimpici (brevetto B) mentre era in possesso della sola patente ludica di tipo A., contravvenendo a quanto indicato nel bando di concorso.

L’errore della Pa
L’Amministrazione Militare ha fatto applicazione del principio di stretta interpretazione delle clausole del bando che richiamavano l’attenzione del candidato sulla distinzione tra i titoli e sulle conseguenze che si assumeva in caso di falsa dichiarazione.
Deve tenersi, tuttavia, in debito conto la buona fede del dichiarante al momento della presentazione della domanda di partecipazione al concorso, considerata la gravità delle conseguenze dell’errata autocertificazione.
L’omessa verifica del brevetto in questione da parte dell’Organo Valutativo dell’Esercito prima della predisposizione della graduatoria definitiva, si pone in contrasto con il principio della leale cooperazione tra le parti, atteso che la dichiarazione “mendace” avrebbe potuto comportare, eventualmente, la rivalutazione della posizione del militare, ai fini di un corretto posizionamento in graduatoria - in relazione all’effettivo punteggio spettante, in base ai titoli effettivamente posseduti, con esclusione, quindi, soltanto di quello contestato - ma non la decadenza dalla ferma prefissata.
Tali accertamenti sono indispensabili al fine di stabilire se quanto dichiarato possa considerarsi mendacio o meno: una cosa è la dichiarazione mendace del possesso di un titolo (che non esiste) ed altra cosa è la falsità del titolo dichiarato, di cui il dichiarante è in possesso, di cui egli può essere o meno consapevole.
In quest’ultimo caso, se ne dichiara in buona fede l’esistenza, non può essere considerato mendace.

Il principio di leale cooperazione
La condotta del dipendente, nella fattispecie del militare, va valutata sulla base del rapporto con la Pa: la presentazione del titolo in questione, con la precisazione di averlo conseguito presso un Ente riconosciuto dal Coni, dal Ministero dell’Interno e dal Ministero del Lavoro, fa sorgere, in capo all’Amministrazione ministeriale, un preciso obbligo di cooperazione.
Tali circostanze, infatti, devono indurre la Pa ad approfondire l’effettiva consistenza del titolo e dell’affidamento dell’interessato nella competenza dell’ente rilasciante, soprattutto in presenza di una disposizione del bando di reclutamento particolarmente equivoca, che si limita a prevedere genericamente, quale titolo di merito, il possesso del "brevetto di equitazione per sport olimpici rilasciato dalla Federazione italiana sport equestri".
Presentare una tessera di iscrizione diversa può, al massimo, essere qualificata come comportamento “erroneo” in quanto frutto di una interpretazione non corretta della disciplina.
In presenza di un titolo astrattamente idoneo (patente ludica), l'Amministrazione non può disporre una sanzione così grave, dichiarando il militare decaduto dalla nomina e precludendo, allo stesso, la possibilità di partecipazione ad altre procedure di reclutamento.
E’ illegittimo, pertanto, il provvedimento di decadenza adottato sulla base dell’erronea e superficiale qualificazione di "dichiarazione mendace", senza considerare la possibilità di errore a favore, soprattutto in considerazione della genericità del bando.

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