Personale

Per la previdenza complementare doppia spinta su contributi e tasse

di Consuelo Ziggiotto

La legge di bilancio mette fine alla distinzione del regime fiscale applicato ai contributi destinati a forme di previdenza complementare tra i dipendenti pubblici e privati e mette fine anche alle distinzioni esistenti nel regime della tassazione delle prestazioni.
La riforma è riconducibile alla dicotomia delle fonti in materia di previdenza complementare che vede le regole contenute nel decreto legislativo n. 252 del 2005, applicabili ai soli lavoratori privati. Le regole della previdenza complementare dei lavoratori pubblici sono invece quelle contenute nel decreto legislativo n. 124 del 1993.
Una delle ragioni che hanno rallentato il decollo della previdenza complementare nel pubblico impiego è certamente riconducibile ai diversi limiti di deducibilità fiscale dei contributi che vedevano i lavoratori privati in una condizione di favore rispetto al lavoratore pubblico.

Deducibilità dei contributi
Un lavoratore privato poteva e può dedurre dal proprio reddito i contributi versati a previdenza complementare nel limite massimo di 5.164,57 euro.
I lavoratori pubblici godevano, invece, di un diverso e meno favorevole regime fiscale dei contributi versati a previdenza, che risultavano essere deducibili entro il limite più basso tra: • il 12% del reddito complessivo;
• fino al limite massimo di € 5.164,57 annui
• il doppio del Tfr versato alla previdenza complementare.
A conti fatti, il limite più basso era quasi sempre inferiore alla quota dei 5.164,57 euro.

Tassazione delle prestazioni
Un altro elemento che non ha contribuito a incentivare l'iscrizione al Fondo negoziale Perseo Sirio, era il diverso regime di tassazione delle prestazioni previdenziali che anche in questo caso vedeva i lavoratori pubblici particolarmente penalizzati rispetto ai lavoratori privati. Era qui, infatti e in particolare, che la differenza di trattamento tra le due categorie di lavoratori si faceva sentire. Le rendite di un lavoratore privato erano e sono assoggettate ad una tassazione a titolo di imposta del 15% ridotta di una quota pari allo 0,30% per ogni anno eccedente il 15esimo di partecipazione a forme di previdenza complementare, con il limite massimo del 6%. Questo significa che la rendita di un lavoratore privato che ha albergato in previdenza per 35 anni è assoggettata ad una tassazione pari al 9%, contro un regime fiscale della medesima rendita di un lavoratore pubblico che si vedeva applicare, in ogni caso, la tassazione progressiva a scaglioni, partendo da un 23%.
La pesante eredità lasciata dalla dicotomia delle fonti, richiedeva un intervento legislativo il cui traguardo è stato tagliato con la legge di bilancio 2018.
Il comma 156 prevede che a decorrere dal 1º gennaio 2018, ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche si applicano le disposizioni concernenti la deducibilità dei premi e contributi versati e il regime di tassazione delle prestazioni di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005 n. 252.
I dipendenti pubblici già iscritti a forme di previdenza complementare alla data di entrata in vigore della legge di bilancio 2018 vedranno applicarsi le disposizioni di migliore favore solo a decorrere dal 1° gennaio 2018. Per gli stessi soggetti, relativamente ai montanti delle prestazioni accumulate fino a tale data, continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti.

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