Personale

Il riallineamento del fondo per il lavoro straordinario come tutela dall'erosione degli incrementi tabellari

di Luca Tamassia

Gli effetti degli incrementi tabellari iniziali e di sviluppo originati dai rinnovi contrattuali si riflettono, quale conseguenza fisiologica, su tutti gli istituti economici contrattuali che presentano, quale algoritmo di calcolo, una componente collegata al valore dello stipendio tabellare in godimento. Questo fenomeno non produce, normalmente, alcun effetto pregiudizievole a carico di taluno, in quanto l’incremento del valore tabellare determinato dal rinnovo contrattuale genera un effetto a ricaduta sulla rideterminazione dei contenuti economici di quegli istituti che hanno, alla base della loro valorizzazione, il fattore stipendiale tabellare fruito al momento dell’applicazione dell’incremento, il quale, pertanto, agisce alla stregua di una componente della dinamica rideterminativa del contenuto economico dell’istituto. Esempi di tale fenomeno conseguenziale delle integrazioni tabellari cagionate dai rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro possono rinvenirsi nelle applicazioni di taluni istituti economici di origine negoziale, quali, tra gli altri, il lavoro straordinario (articolo 38 del Ccnl 14 settembre 2000) e l’indennità di turno (articolo 22 del Ccnl 14 settembre 2000), istituti che adducono, come elemento costitutivo, la nozione di retribuzione mutuata dall’articolo 52 dello stesso Ccnl in data 14 settembre 2000, secondo le diverse nozioni da questa clausola introdotte. Il meccanismo di ricomputo di tali istituti a seguito dell’intervento di un nuovo contratto collettivo che, secondo una scontata dinamica retributiva, produca un incremento dei valori retributivi di base sui quali opera la formula di calcolo dei valori economici degli istituti stessi, non determina alcun particolare problema attuativo, se non quello del relativo finanziamento differenziale che, di norma, rappresenta parte del corrispondente costo contrattuale, peraltro già previsto, in sede programmatoria, quale onere da sostenere a seguito dell’applicazione del rinnovo negoziale.

I problemi applicativi per le progressioni orizzontali
Problemi di applicazione, tuttavia, possono originarsi allorquando particolari istituti economici rinvengano, nell’ambito contrattuale che li regola o nelle fisiologiche forme applicative degli istituti stessi, significative limitazioni in grado di produrre evidenti distorsioni attuative, che rappresentano veri e propri effetti collaterali, ancorché non voluti dalle parti pattizie al momento della stipula dei rinnovi contrattuali. L’ipotesi più evidente che nell’ambito degli assetti negoziali si è venuta progressivamente a produrre nel tempo attiene alla necessità, ancora attuale, di riallineare i valori delle progressioni orizzontali fruite al momento dell’intervento degli effetti dei rinnovi contrattuali, allorché, infatti, l’integrazione dei tabellari iniziali (posizioni economiche iniziali) e dei tabellari di sviluppo (posizioni economiche successive a quella iniziale), prodotte a seguito dell’autonoma integrazione di ogni posizione economica collocata sulla filiera del percorso di categoria (fenomeno già prodotto dal Ccnl 5 ottobre 2001), ha originato una costante erosione della tenuta dei fondi che alimentavano l’insieme dei valori di posizione economica in godimento da parte dei lavoratori interessati dal nuovo contratto, con il paradossale effetto di ridurre la portata potenziale di tali destinazioni per effetto dei benefici incrementali portati, con effetti sul tabellare, dalla stipula dei nuovi contratti. Le parti negoziali, preoccupate del pericolo che un mancato riallineamento economico di tale fenomeno conducesse presso le singole amministrazioni ad una riduzione del potenziale di risposta del finanziamento dell’istituto, si sono opportunamente curate di supportare gli enti del comparto con apposite dichiarazioni congiunte, di corredo dei rinnovi contrattuali, in grado di orientare le amministrazioni pubbliche interessate ad una corretta applicazione degli incrementi tabellari, mediante l’adozione di necessari meccanismi di riallineamento dei valori economici differenziali da finanziare con oneri a carico delle singole amministrazioni e a valere quale corrispondente incremento dei fondi di finanziamento dell’istituto. Nel comparto contrattuale di Regioni ed enti locali, infatti, ne sono chiaro esercizio la dichiarazione congiunta n. 14 acclusa al Ccnl 22 gennaio 2004 e, successivamente, l’ulteriore dichiarazione congiunta n. 4 di corredo del Ccnl 9 maggio 2006. Tali dichiarazioni, infatti, di chiaro tenore orientativo, non introducono nuovi istituti contrattuali o nuovi assetti di calcolo di istituti economici di origine contrattuale, ma hanno la sola finalità di indirizzare le amministrazioni verso la corretta applicazione degli effetti che gli incrementi dei valori tabellari, operati in sede di rinnovo negoziale, determinano sulle posizioni economiche in godimento a seguito dell’applicazione dell’istituto delle progressioni orizzontali. Tale considerazione, in vero, muove dalla mera lettura delle predette dichiarazioni che, orientando le amministrazioni alla legittima attuazione del sistema contrattuale, definiscono le conseguenze applicative dei miglioramenti economici rispetto all’istituto, facendo riferimento, infatti, alle sole clausole pattizie che disciplinano lo stipendio tabellare come riformulato dai rinnovi contrattuali, nella specie costituite, rispettivamente, dall’articolo 29, comma 2, del Ccnl 22 gennaio 2004 e dall’articolo 2, comma 1, del Ccnl 9 maggio 2006.

Il finanziamento del lavoro straordinario
Vi è, tuttavia, nel nostro ordinamento contrattuale, un’ulteriore forma di limitazione che pesa non poco sulla dinamica organizzativa e gestionale della amministrazioni destinatarie, ovvero il blocco dell’entità del valore economico destinato al finanziamento del lavoro straordinario che, per effetto di quanto prescritto dall’articolo 14, comma 1, del Ccnl 1° aprile 1999, è ancora plafonato al valore destinato a tale finalità nell’anno 1998. La norma in questione, infatti, prescrive, con effetti dal 1999, che, per la corresponsione dei compensi relativi alle prestazioni di lavoro straordinario, gli enti possano utilizzare risorse finanziarie in misura non superiore a quelle destinate, nell’anno 1998, al fondo di finanziamento dell’istituto nel medesimo anno. Tale previsione, pertanto, appare assai limitativa rispetto al fisiologico e razionale impiego di tale fondamentale istituto per l’ordinata gestione dei servizi pubblici prodotti dagli enti del comparto. Si tenga presente, infatti, che l’algoritmo di calcolo del valore del lavoro straordinario è strettamente connesso e riposa sul corrispondente valore delle posizioni stipendiali tabellari e di sviluppo economico acquisite dal personale interessato, di talché l’avvento del rinnovo contrattuale è in grado di originare, nel limite del valore del relativo fondo bloccato alla corrispondente destinazione operata nell’anno 1998, una sensibile decurtazione del potenziale di risposta economica in termini di impiego dell’istituto, innescando un processo di irreversibile e progressivo svuotamento delle risorse a tal fine destinate, potendo giungere, in taluni casi in cui il fondo originario era di ridotta entità nell’anno 1998, ad  una vera e propria estinzione delle facoltà di utilizzo del lavoro straordinario. È agevole osservare, infatti, come una dinamica applicativa che fonda i miglioramenti economici prodotti a favore dello stipendio tabellare sulla base del valore inflattivo prodottosi nel periodo, abbia condotto ad una decurtazione potenziale del fondo in esame di un tasso complessivo corrispondente, riducendo, di conseguenza, le facoltà di impiego dell’istituto. Tenuto conto, infatti, che il limite di riferimento risale ad un periodo temporale oramai ventennale (1998-2018), nell’ambito del quale l’inflazione media approssimativa può calcolarsi intorno ad un tasso medio annuale del 2%, appare chiaro come il potenziale di risposta del fondo, in assenza di meccanismi correttivi, abbia condotto ad una perdita sul campo di circa il 40% della capacità di finanziamento dell’istituto. Risulta chiaro come la norma contrattuale di riferimento non abbia certamente inteso predisporre un congegno che, nel tempo, potesse produrre una riduzione del potenziale di risposta dell’istituto sino al punto di estinguerne gli effetti, bensì è da ritenere che le parti contrattuali si fossero poste, quale obiettivo economico, il contenimento degli effetti di finanziamento dell’istituto preservandone, tuttavia, le capacità di risposta, pur congelate al potenziale 1998. Questo risultato, infatti, ben potrebbe essere raggiunto applicando, anche al fondo di finanziamento dei trattamenti economici per lavoro straordinario, il riallineamento degli incrementi stipendiali che operano sul relativo algoritmo di calcolo, ricalibrandone, pertanto, l’entità secondo l’aggiornamento dei corrispondenti valori, impregiudicata la complessiva capacità di finanziamento dell’istituto nel limite congelato all’anno 1998.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©