Personale

Risarcimento per l'insegnante sotto straining a scuola

di Andrea Alberto Moramarco

È legittimo il risarcimento dei danni da «straining», consistente in una forma di mobbing attenuato, riconosciuto in favore di una insegnante vittima di comportamenti ostili e lesivi della sua integrità psicofisica e personalità morale da parte della dirigenza scolastica. Questo è quanto emerge dalla sentenza n. 3977 della Sezione Lavoro della Cassazione, depositata ieri.

Il caso
Protagonista della vicenda è un'insegnante di un istituto comprensivo statale di Brescia che per motivi di salute era stata dichiarata inidonea all'insegnamento e, di conseguenza, assegnata alla segreteria della stessa scuola. Durante l'espletamento del nuovo incarico, tuttavia, la docente era entrata in contrasto con la dirigenza scolastica quando aveva sottolineato la necessità di ulteriore personale per l'espletamento dei servizi amministrativi. Di lì in poi si era registrata, da parte del preside, una escalation di azioni ostili, dalla sottrazione di strumenti di lavoro, alla riassegnazione della docente a mansioni didattiche per lei oggettivamente impossibili, sino alla totale privazione di ogni incarico.
Il contrasto tra insegnante e istituto scolastico finiva, poi, in Tribunale dove il Ministero dell'Università, Istruzione e della Ricerca veniva condannato a risarcire il danno subito dalla docente, quantificato in circa 15mila euro. Anche in appello il verdetto non cambia, con l'affermazione da parte della corte territoriale della sussistenza nella fattispecie di un'ipotesi di “straining”, ovvero di «stress forzato deliberatamente inflitto alla vittima dal superiore gerarchico con un obiettivo discriminatorio»: una condotta non propriamente mobbizzante, ma tale da determinare un danno risarcibile. Di diverso avviso, invece, si mostrava il ministero che, ricorrendo in Cassazione, sottolineava il fatto che lo “straining” «non costituisce una categoria giuridica», essendo controversa la sua configurabilità anche in medicina legale. In sostanza, non trattandosi di mobbing, ovvero di comportamenti vessatori sistematici e reiterati, non era possibile un risarcimento del danno in favore dell'insegnante.

La decisione
I giudici di legittimità, tuttavia, non condividono tale assunto e rigettano il ricorso presentato dal ministero sottolineando l'interpretazione, a opera della giurisprudenza di legittimità, dell'articolo 2087 del codice civile, norma che impone al datore di adottare misure adeguate per la tutela delle condizioni di lavoro.
Spiega il Collegio, ai fini della pretesa risarcitoria in base all’articolo 2087 del codice civile, non c'è differenza tra mobbing e straining, essendo quest'ultimo semplicemente «una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie», in quanto in entrambi i casi sussistono azioni produttive di danno all'integrità psico-fisica del lavoratore. Da questa norma deriva, infatti, l'obbligo del datore, e quindi nel caso di specie della scuola, di astenersi dal compiere ogni condotta che leda il diritto alla salute, alla dignità umana e tutti i diritti inviolabili della persona, nonché «di impedire che nell'ambiente di lavoro si possano verificare situazioni idonee a mettere in pericolo» tali diritti della persona. E ogniqualvolta, quindi, l'evento si ricollega causalmente a un comportamento del datore sussiste la piena responsabilità di quest'ultimo.
Nel caso di specie, concludono i giudici, è ben fondata la pretesa risarcitoria della docente, in quanto la privazione ingiustificata degli strumenti di lavoro, l'assegnazione di mansioni non compatibili con il suo stato di salute e, infine, la riduzione in una condizione umiliante di totale inoperosità costituiscono una palese violazione dell'Amministrazione scolastica degli obblighi su di essa incombenti quale datore di lavoro.

La sentenza della Corte di cassazione n. 3977/2018

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