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Whistleblowing, regole ordinarie del codice di procedura sul segreto

L’anomimato del whistleblower è assicurato (e non sempre) in ambito disciplinare. Nel penale, anche alla luce della recentissima legge, valgono le regole ordinarie sul segreto previste dal Codice di procedura penale. Lo chiarisce, in quella che è una delle prime pronnunce che tiene conto anche della legge 178/17, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 9047 del 2018 della sesta sezione penale depositata ieri. La Corte ha respinto, nell’ambito di un procedimento a carico di un dipendente dell’Agenzia del territorio, indagato per una pluralità di episodi di corruzione, truffa aggravata e falso ideologico, il motivo di ricorso centrato sulla gravità degli indizi, alla base del via libera alle intercettazioni. Gravità che era emersa dopo un esposto interno al Reparto servizi di pubblicità immobiliare della locale Agenzia.

La vicenda
La segnalazione era stata effettuata, attraverso il cosiddetto “canale del whistleblowing”, all’ufficio del responsabile per la prevenzione della corruzione, al quale vanno indirizzate le possibili violazioni commesse dai dipendenti dell’Agenzia, realizzando «un sistema che garantisce la riservatezza del segnalante nel senso che il dipendente che utilizza una casella di posta elettronica interna al fine di segnalare eventuali abusi non ha necessità di firmarsi, ma il soggetto effettua la segnalazione attraverso le proprie credenziali ed è quindi individuabile seppure protetto».
La difesa aveva sottolineato però che, in questo modo, erano stati valorizzati, per determinare il quadro dei gravi indizi di reato, elementi tratti da una denuncia anonima e che non doveva essere attribuito alcun peso al fatto che, in seguito, era avvenuta l’identificazione del “denunciante”.

La decisione
Per la Cassazione, la disciplina della pubblica amministrazione (decreto legislativo 165/01), però, conferma la lettura data dai giudici di merito. Infatti, si specifica che l’anomimato di chi effettua la segnalazione è previsto solo in ambito disciplinare, a patto però che la successiva ed eventuale contestazione non si basi esclusivamente sulla segnalazione stessa. Perchè, in quest’ultimo caso, l’identità può essere rivelata quando assolutamente necessaria per la difesa dell’accusato. Ne deriva però, osserva ancora la Cassazione, che, in caso di utilizzo della segnalazione in ambito penale, non esiste spazio per l’anonimato.
Conclusione ulteriormente corroborata, mette in evidenza la sentenza, dalla legge 179 del 2017 che ha fornito una disciplina organica del whistleblowing, sia nel settore pubblico sia nel settore privato. Nella legge, infatti, «con disciplina più puntuale, coerentemente alla perseguita finalità di apprestare un’efficace tutela del dipendete pubblico che riveli illeciti, è precisato espressamente che, “nell’ambito del procedimento penale, l’identità del segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’articolo 329 del Codice penale”».
La segnalazione poi, avverte la Cassazione, nello specifico, non ha le caratteristiche di un semplice spunto investigativo, ma rappresenta piuttosto una vera e propria dichiarazione d’accusa, alla quale si sono poi aggiunti gli esiti degli accertamenti compiuti dalla Direzione centrale audit che avevano contribuito a mettere in luce un numero assolutamente eccessivo di visure chieste per uso ufficio in esenzione da pagamento.

La sentenza della Corte di cassazione n. 9047/2018

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