Personale

Sul patto generazionale nel pubblico impiego la competenza è dello Stato

di Andrea Alberto Moramarco

Sono incostituzionali le norme regionali che prevedono l'istituto del «patto generazionale» nel pubblico impiego, ovvero quel meccanismo che, per favorire il ricambio generazionale tra i dipendenti pubblici, consente di ridurre l'orario di lavoro per i lavoratori vicini alla pensione, fermo restando il versamento da parte dell'Amministrazione di appartenenza dei contributi di previdenza e quiescenza riferiti al rapporto di lavoro a tempo pieno. L’istituto, infatti, rientra nella materia della previdenza sociale che è di esclusiva competenza statale. È quanto ha deciso la Corte costituzionale, con la sentenza n. 38 depositata ieri.

La questione
Oggetto della decisione è l'articolo 21 della legge della Regione Friuli Venezia Giulia 18/2016, (Disposizioni in materia di sistema integrato del pubblico impiego regionale e locale), norma che, con l'obiettivo di «favorire il ricambio generazionale e l'inserimento lavorativo dei giovani», ha previsto, su domanda dei lavoratori interessati, una riduzione tra il 35 e il 70% dell'orario di lavoro a tempo pieno negli ultimi tre anni di servizio per il personale in procinto di andare in pensione, con l'obbligo per l'amministrazione di effettuare il versamento dei contributi di previdenza e quiescenza riferiti al rapporto di lavoro a tempo pieno.

Le diverse posizioni
La disposizione, secondo la Presidenza del Consiglio dei ministri, invadeva la sfera di competenza esclusiva riservata al legislatore nazionale dall'articolo 117 comma 2 lettera o) della Costituzione in tema di previdenza sociale, nonché violava l'articolo 6 dello Statuto speciale della Regione autonoma, il quale prescrive una mera competenza attuativa e integrativa delle disposizioni nazionali. In sostanza, il legislatore regionale con tale «sorta di contribuzione “figurativa” non corrispondente ad alcuna prestazione lavorativa» avrebbe introdotto nell'ordinamento un istituto giuridico sconosciuto e, quindi, «esorbitante dai limiti della potestà normativa attuativa e integrativa».
Chiamata a difendere la propria disposizione normativa dinanzi alla Corte costituzionale, la Regione Friuli Venezia Giulia sottolineava, invece, la conformità costituzionale della norma, in quanto «espressione della competenza legislativa statuaria in materia di ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione», nonché ricadente nella materia della tutela del lavoro, di competenza regionale in virtù dell'articolo 117 comma 3. In questa cornice, secondo la regione autonoma, il profilo previdenziale rimarrebbe in secondo piano e assumerebbe un ruolo marginale, costituendo esclusivamente «il mezzo incentivante per favorire il ricambio generazionale». Se ciò non bastasse, poi, per l'ente locale il meccanismo predisposto dalla normativa regionale non sarebbe dissimile a quello risultante dall'applicazione dei cosiddetti contratti di solidarietà espansivi, «attraverso i quali viene concordata, a livello aziendale, una riduzione dell'orario di lavoro per favorire nuove assunzioni, che viene incentivata anche mediante la contribuzione previdenziale in favore dei lavoratori interessati dalla riduzione dell'orario», secondo l'articolo 41 del Dlgs 148/2015 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro); nonché non sarebbe dissimile anche dal sistema del ricambio generazionale tra i dipendenti della Pubblica amministrazione mediante la riduzione dell'orario di lavoro del personale in procinto di essere collocato a riposo, previsto – ma non attuato – dall'articolo 17 comma 1 lett. p) della legge 124/2015 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche).

La decisione
La Corte costituzionale analizza la norma in questione e ammette che trattasi di disposizione «intesa a favorire il ricambio generazionale», con destinazione dei risparmi realizzati dall'Amministrazione all'assunzione di personale più giovane. Tale norma si inserisce, cioè, «nell'alveo di una consolidata tendenza dell'ordinamento, volta a favorire un graduale avvicendamento occupazionale mediante l'apertura di prospettive di nuove assunzioni derivanti dalla proporzionale riduzione dei rapporti di lavoro esistenti con lavoratori anziani». Ciononostante, la Consulta accoglie il ricorso del Governo e dichiara la disposizione regionale incostituzionale per violazione dell'articolo 117, comma 2, lettera o) nella parte in cui prevede il «versamento dei contributi di previdenza e quiescenza riferiti al rapporto di lavoro a tempo pieno». La censura della Presidenza del Consiglio dei ministri, infatti, coglie nel segno laddove sottolinea che la previsione dell'istituto del “patto generazionale” rientra nell'ambito della previdenza sociale, ovvero materia di competenza esclusiva del legislatore statale. Si tratta, cioè di un istituto non conforme all'attuale ripartizione degli oneri previdenziali previsti per il pubblico impiego e che, inevitabilmente, finisce con l'incidere una materia di competenza statale. Per i giudici delle leggi, infatti, «la corresponsione da parte dell'amministrazione dei contributi riferiti alla prestazione a tempo pieno a fronte di un lavoro part-time, sganciando l'onere contributivo dalla retribuzione, interessa sicuramente la materia previdenziale di competenza statale in maniera non meramente marginale», non consentendo alla Regione di poter legiferare in materia senza violare l'assetto di competenze delineato dalla Costituzione.

La sentenza della Corte costituzionale n. 38 /2018

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