Personale

Legge 104, «no» al riproporzionamento dei permessi in caso di part time

di Carmelo Battaglia e Domenico D'Agostino

La sezione Lavoro della Corte di cassazione, con la sentenza n. 4069/2018, ha affermato che anche per i dipendenti part time non si applica il riprorzionamento dei tre giorni di permesso, ex legge n. 104/1992, in caso di prestazione per un numero di giornate superiore al 50%, confermando l’orientamento già espresso con la precedente sentenza n. 22925/2017.

La norma
L’articolo 33, comma 3, della citata legge, infatti, riconosce al lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, il diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito, coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa.

I fatti
La vicenda riguarda una dipendente di Poste italiane che ha presentato ricorso al Tribunale di Trento, lamentando che il datore di lavoro, in considerazione del part time verticale da ella osservato, aveva riproporzionato da tre a due il numero di giorni di permesso mensili spettanti. Il Tribunale di Trento ha riconosciuto il suo diritto a fruire di tre giorni, ex articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992, e a percepire la relativa indennità a carico dell’Inps, condannando Poste italiane al risarcimento del danno, e la Corte d’appello di Trento ha confermato la sentenza di primo grado. Sebbene Poste italiane abbia agito in base a quanto precisato dall’Inps, con la circolare n. 133/2000, la quale afferma che in caso di contratto di lavoro part time verticale, con attività lavorativa (a orario pieno o a orario ridotto) limitata ad alcuni giorni del mese, il numero dei giorni di permesso spettanti vada ridimensionato proporzionalmente, secondo la Corte d’appello, in mancanza di una norma espressa, il Tribunale ha correttamente fatto ricorso al principio di non discriminazione di cui all’articolo 4 del Dlgs n. 61/2000.

Il ragionamento della Corte
I giudici di Piazza Cavour hanno ricordato che l’articolo 4 del Dlgs n. 61/2000 (Testo unico sul part time), dopo aver sancito al comma 1 il principio di non discriminazione in base al quale il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno, elenca, alla lett. a), i diritti del lavoratore a tempo parziale e, in particolare, stabilisce che deve beneficiare della medesima retribuzione oraria, del medesimo periodo di prova e di ferie annuali, della medesima durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternità, del periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia e dei diritti sindacali, compresi quelli di cui al titolo III della legge n. 300 del 20 maggio 1970. Altresì, alla lett. b), il citato articolo stabilisce che il trattamento del lavoratore a tempo parziale deve essere riproporzionato, in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, l’importo della retribuzione feriale e l’importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale e maternità. Secondo la Cassazione, in attuazione del principio di non discriminazione, il legislatore ha inteso fare una distinzione fra gli istituti che hanno una connotazione patrimoniale e si pongono in stretta corrispettività con la durata della prestazione lavorativa, per i quali è ammesso il riproporzionamento, e gli istituti a connotazione non strettamente patrimoniale, che sono salvaguardati da qualsiasi riduzione connessa alla minore entità della durata della prestazione lavorativa. Richiamando la citata sentenza n. 22925/2017, la Cassazione afferma che, in definitiva, si tratta di una misura destinata alla tutela della salute psicofisica del disabile, quale diritto fondamentale dell’individuo tutelato dall’articolo 32 della Costituzione, che rientra tra i diritti inviolabili che la Repubblica riconosce e garantisce all’uomo (articolo 2 Cost.) e, tenuto conto delle finalità dell’istituto disciplinato dall’articolo 33 della legge n. 104/1992, deve concludersi che il diritto del lavoratore ad usufruire dei permessi non è comprimibile e va riconosciuto in misura identica al lavoratore a tempo pieno.

Osservazioni finali
In conclusione, secondo gli ermellini, in coerenza con il criterio di una distribuzione paritaria degli oneri e dei sacrifici connessi all'adozione del rapporto di lavoro part time e, nello specifico, del rapporto parttime verticale, è ragionevole distinguere l'ipotesi in cui la prestazione di lavoro parttime sia articolata sulla base di un orario settimanale che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario, da quello in cui comporti una prestazione per un numero di giornate di lavoro inferiori, o addirittura limitata solo ad alcuni periodi nell'anno, e riconoscere solo nel primo caso, stante la pregnanza degli interessi coinvolti e l'esigenza di effettività di tutela del disabile, il diritto alla integrale fruizione dei permessi in esame.

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