Personale

Sanatoria dei fondi estesa anche alle «nuove» Camere di commercio

di Luca Tamassia e Roberto Pierantoni

In merito alla sanatoria relativa agli atti di costituzione e di utilizzo dei fondi di finanziamento del salario accessorio del personale dipendente - disposizioni derogatorie introdotte dal decreto cosiddetto salva Roma (Dl n. 16/2014, convertito dalla legge n. 68/2014) - sebbene la norma “testualmente” individui quali amministrazioni destinatarie le Regioni e gli enti Locali, già in dottrina, ha argomentato che anche le Camere di commercio (Cciaa) possano usufruire di tale istituto. Ora con sentenza del 7 marzo 2018 (Rg n. 3122/2016 r.g.lav.) il Tribunale ordinario di Pescara ha sancito che “le Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura sono classificabili come enti locali e, come tali, soggetti alla disciplina di cui all’art. 4 del D.Lgs. (in realtà D.L.) del 6 marzo 2014 n. 16”, rigettando il ricorso con cui alcuni dipendenti della locale Cciaa hanno contestato, tra le altre cose, il piano di recupero delle somme illegittimamente appostate in fase di costituzione a valere sui fondi futuri, adottato con determinazione del segretario generale pro tempore n. 25 del 10 marzo 2016, a seguito di verifica ispettiva del MEF/IGF/SIFIP. Il Giudice del lavoro del Tribunale di Pescara ha precisato che: “Con riferimento al primo motivo di doglianza dedotto da parte ricorrente relativa alla natura giuridica delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura e conseguente inapplicabilità dell’art. 4 del D.L. del 6 marzo 2014 n. 16 si osserva quanto segue. La normativa di riferimento è contenuta nella legge 29 dicembre 1993, n. 580 che, all’art. 1, definisce le Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura quali “enti pubblici dotati di autonomia funzionale che svolgono, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, sulla base del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 della Costituzione, funzioni d’interesse generale per il sistema delle imprese curandone lo sviluppo nell’ambito delle economie locali”. “Sulla scorta di tale definizione” - prosegue la statuizione del giudicante - “la Corte Costituzionale, con sentenza dell’8 novembre 2000 n. 477, ha evidenziato come la Camera di Commercio sia venuta a configurarsi come un ente pubblico locale, dotato di autonomia funzionale, che ‘entra a pieno titolo, formandone parte costitutiva, nel sistema dei poteri locali’, secondo lo schema dell’art. 118 della Costituzione, avallando, così, una interpretazione più estensiva della nozione di ente locale, tradizionalmente riferita solo ad enti territoriali e, quindi, fondata sul legame con la rappresentanza politica. Detta configurazione è stata poi superata dal novellato art. 118 della Costituzione dal quale è stata espunta la locuzione ‘altri enti locali’; circostanza che, tuttavia, non fa venir meno l’individuazione, nell’ambito degli enti locali territoriali, anche di altre forme di autonomie locali. Per quanto sopra, quindi, - conclude il giudice pescarese - le Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura sono classificabili come enti locali e, come tali, soggetti alla disciplina di cui all’art. 4 del D.L. del 6 marzo 2014 n. 16.”. Trattasi di un fondato pronunciamento giurisprudenziale che il sistema camerale, peraltro, deve saper cogliere come una rilevante opportunità, un’occasione veramente indeclinabile per operare una profonda revisione accertativa dei fondi per l’alimentazione del salario accessorio, attesa anche la recente sottoscrizione, il 21 febbraio scorso, dell’ipotesi di Ccnl 2016-2018 del comparto Funzioni locali, che ha provveduto, tra le altre cose, anche ad un riassetto organico delle disposizioni che regolano la costituzione e l’utilizzo dei fondi destinati alla contrattazione integrativa per l’erogazione dei trattamenti economici accessori, dopo le modifiche introdotte dall’articolo 22 del Dlgs n. 75/2017.

Le ragioni per procedere alla ricostruzione dei fondi
La citata sentenza costituisce un importante precedente giurisprudenziale che si colloca in un delicatissimo periodo in cui, com’è noto, il sistema camerale è alle prese con una riforma (introdotta dal Dlgs n. 219/2016), che non solo ridisegna profondamente la geografia delle circoscrizioni territoriali di competenza delle singole Camere di commercio, ma anche gli ambiti di intervento e l’assetto normativo (anche in tema di gestione del personale). Il recente decreto del ministro Calenda del 16 febbraio, che riscrive il precedente decreto dell’8 agosto 2017, a seguito dell’intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 261 del 13 dicembre 2017 (che aveva contestato la mancata intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano), ridetermina le circoscrizioni territoriali del sistema camerale, portando a 60 il numero delle Camere di commercio. Le “nuove” Cciaa si dovranno porre il problema pratico della costituzione del fondo per le risorse decentrate del nuovo ente camerale e, al riguardo, l’Aran, il 9 giugno 2015 (prot. n. 0019652), rispondendo all’Unione nazionale delle Camere di commercio (dovendo affrontare la prima “fusione volontaria” delle accorpande Cciaa di Venezia e Rovigo)), ha fornito precise istruzioni operative. È opportuno evidenziare, infatti, che la costituzione dei fondi è prerogativa dell’amministrazione. Al riguardo si vedano la nota Mef Igop prot. n. 0037025 del 7 maggio 2012 all’Università di Siena e le indicazioni applicative in materia di “salva Roma” dei ministri Lanzetta, Madia e Padoan, dell’8 agosto 2014, pag. 6 punto V. In merito al fondo per il trattamento accessorio del personale dirigente e non dirigente nel caso di accorpamento tra Camere di commercio, il Ministero dello Sviluppo Economico, con nota n. 0105995 del 1° luglio 2015, ha previsto che le Camere di commercio accorpande provvedano, prima della loro estinzione, alla costituzione dei fondi relativi all’anno in cui decorre l’accorpamento nonché alla loro relativa certificazione da parte del proprio collegio dei revisori dei conti. Inoltre, nella stessa nota si prevede che “la costituzione dei fondi del personale dirigente e non dirigente deve tenere conto delle eventuali osservazioni risultanti in sede ispettiva da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Com’è noto, sulla tematica del recupero di somme indebitamente corrisposte al dipendente pubblico si sono, nel tempo, inserite due previsioni normative di portata distinta, ovvero il 6° periodo dell’articolo 40 comma 3-quinquies del d.lgs. n. 165/2001, nonché l’articolo 4, co. 1, 1° periodo, della Legge 2/5/2014 n. 68, di conversione del D.L. n. 16/2014. È opportuno evidenziare che la recente riforma Madia, di cui al Dlgs n. 75/2017, ha proseguito sulla strada del recupero degli indebiti dai fondi di finanziamento del salario accessorio e non dai singoli dipendenti. Il legislatore ha così colmato un buco della legislazione, che fino all’entrata in vigore del Dlgs n. 75/2017, non aveva fissato un arco temporale massimo entro il quale questa operazione di recupero si dovesse realizzare. Infatti l’articolo 40, comma 3-quinquies, sesto periodo, del Dlgs n. 165/2001, come modificato dal Dlgs n. 150/2009, previgente al testo attuale (modificato come vedremo dal d.lgs. n. 75/2017), stabiliva testualmente: “In caso di accertato superamento di vincoli finanziari da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti, del Dipartimento della funzione pubblica o del Ministero dell’economia e delle finanze è fatto altresì obbligo di recupero nell’ambito della sessione negoziale successiva”. Per cui le singole amministrazioni (si veda Cass., sez. Lavoro, n. 24834 del 9 dicembre 2015, relativa al riconoscimento della legittimità del recupero sui fondi futuri operato dalla Croce Rossa italiana) decidevano direttamente l’arco temporale entro cui dare corso ai recuperi delle somme illegittimamente inserite nei fondi, visto che il vincolo del recupero entro l’arco temporale della “sessione negoziale successiva” non era definito nella “durata”.

Osservazioni finali
Al razionalista del Settecento Johann Martin Chladenius, autore di uno studio teorico sulla logica interpretativa, è attribuito il noto aforisma in claris non fit interpretatio, ovvero che le cose evidenti non necessitano di alcuna interpretazione. Pertanto, non soltanto grazie ad approfondimenti dottrinali, ma ora grazie anche a formale pronuncia giurisprudenziale, è possibile sostenere che le Camere di commercio sono a tutti gli effetti tra gli enti destinatari delle disposizioni sananti di cui all’articolo 4 del Dl n. 16/2014. La tesi opposta, che nell’immediata emanazione del decreto “salva Roma” è diffusamente circolata (cfr. http://www.aranagenzia.it/araninforma/maggio-2014/238-attualita/1022-attualita2.html: “(…) si parla di regioni ed enti locali, ma non dell’attuale comparto di contrattazione. Ciò significa che camere di commercio e ex Ipab (attualmente sottoposti alle norme del contratto di comparto Regioni e autonomie locali) sono escluse dalle norme del decreto legge (…)”) non sembra, quindi, coerente con il vigente quadro normativo di riferimento, in quanto discriminante in danno delle Camere di commercio che, pertanto, ai fini dell’applicazione delle norme sananti qui richiamate, sono da considerarsi enti locali, ancorché non annoverabili nel ristretto ambito delle amministrazioni locali in senso stretto, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, del Dlgs n. 267/2000, e fanno parte dello stesso comparto di contrattazione collettiva nazionale. Tanto più se si considerano, poi, le integrazioni apportate al sesto periodo dell’articolo 40, comma 3-quinquies, dal Dlgs n. 75/2017. Da quanto premesso, in questo particolare contesto delle Camere di commercio, tutto ciò deve essere visto come una concreta opportunità, piuttosto che come un obbligo, per operare, non solo in vista degli accorpamenti tra tali enti, ma anche della corretta applicazione delle emanande disposizioni contrattuali, in particolare con riferimento ad un’attenta auto-ricognizione dei fondi delle risorse decentrate, laddove, a seguito di apposita verifica, si fossero accertati eventuali errori nel tempo occorsi in occasione della composizione e della determinazione dei fondi di finanziamento del salario accessorio del personale dipendente. Un’opportunità che, tuttavia, deve essere celermente raccolta dalle “nuove” Camere di commercio.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©