Personale

Da risarcire il danno per il ritiro dell'incarico dirigenziale

di Vincenzo Giannotti

Nel pubblico impiego privatizzato, l'atto di ritiro, equivalendo a revoca del provvedimento di nomina, genera un inadempimento contrattuale suscettibile, dinanzi al giudice ordinario, di produrre danno risarcibile. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 2603/2018.

La vicenda
Il ministero dei Beni culturali e paesaggistici aveva conferito l'incarico di direttore generale con sottoscrizione del contratto individuale per la durata di tre anni, ma a seguito del rifiuto della registrazione e del visto da parte della Corte dei conti, ha proceduto al “ritiro” dell'atto di conferimento in quanto non divenuto efficace. Il ministero, tuttavia, a pochi giorni di distanza dal contratto sciolto, ha indetto la selezione per la copertura del posto dirigenziale vacante. Il Tribunale - e successivamente la Corte di Appello - hanno considerato l'atto inefficace e come tale, hanno giudicato legittimo il suo ritiro in coerenza con le indicazioni dei giudici amministrativi.
Il dirigente ha impugnato la sentenza in Cassazione e ha evidenziato come la sottoscrizione del contratto era di per se sola sufficiente a radicare il rapporto di lavoro tanto che la Pa ha illegittimamente sciolto il contratto mediante scelta unilaterale, non consentita dall'ordinamento in assenza della dovuta partecipazione o consenso dell'interessato.

Le motivazioni della riforma della sentenza
Secondo la Cassazione, la Corte territoriale ha errato nel considerare il provvedimento di nomina del dirigente inefficace, per mancanza del visto della Corte dei conti e, come tale, scioglibile in via unilaterale dalla Pa. A differenza, infatti, dell'ambito pubblicistico, il rapporto di lavoro concluso con la Pa soggiace alle regole del diritto privato: si tratta di atti negoziali cui sono collegate le sole norme di diritto privato. In questo contesto, appare evidente che questi atti risultano esclusi da procedimenti e atti amministrativi, con la conseguenza che agli stessi non possono trovare applicazione ì principi e le regole proprie degli atti pubblicistici della Pa e, in particolare, le disposizioni dettate dalla legge 7 agosto 1990 n. 241. Anche agli atti di conferimento di incarichi dirigenziali, pertanto, devono trovare applicazione i principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all'articolo 97 della Costituzione, dove la Pa è tenuta, fra l'altro, ad adottare adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e a esternare le ragioni che giustifichino le proprie scelte, sicché laddove questa regola non è stata rispettata, è configurabile un inadempimento contrattuale della Pa, suscettibile, dinanzi al giudice ordinario, di produrre danno risarcibile.
Nel caso di specie, pertanto, l'atto di conferimento dell'incarico dirigenziale è stato assunto dalla Pa con i poteri del privato datore di lavoro con la conseguenza che:
a) la Pa ha illegittimamente proceduto a dare esecuzione al contratto prima della registrazione della Corte dei conti, assumendosi quindi ogni responsabilità inerente e conseguente alla eventuale mancata registrazione;
b) con la sottoscrizione del contratto di lavoro la Pa ha creato una situazione idonea a ingenerare nel dirigente nominato il connesso legittimo affidamento sulla prosecuzione del rapporto, essendo a esclusivo carico della Pa l'onere di non mettere in esecuzione i provvedimenti soggetti al controllo preventivo della Corte dei conti fino alla conclusione del procedimento di controllo;
d) la Pa ha interrotto il rapporto di lavoro con il dirigente senza l'obbligatoria partecipazione dello stesso alle decisioni prese in via unilaterale, con ciò violando le regole dei principi di imparzialità e di buon andamento.

La sentenza della Corte di cassazione n. 2603/2018

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