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Cambio destinazione, oneri al Comune anche senza opere

Un immobile artigianale può passare ad uso commerciale, ma paga al Comune gli oneri di urbanizzazione, anche senza lavori edili. Questo è l’orientamento del Tar Toscana espresso nella sentenza n. 309 del 2018.

I provvedimenti da chiedere al Comune
Il Tar distingue tra i provvedimenti da chiedere al Comune e il regime oneroso del mutamento di destinazione. Il provvedimento da chiedere al Comune è il permesso di costruire (salva più permissiva disciplina locale), anche se non vi sono opere da realizzare: si tratta di un intervento di particolare rilevanza urbanistica.
Per ciò che riguarda l’onerosità dell’intervento, il Tar afferma la necessità di pagare gli oneri di concessione, perché la categoria artigianale è significativamente diversa da quella commerciale. La diversità fa leva, oltre che sulle definizioni di impresa artigiana e commerciale, sul parametro del carico urbanistico, un tempo desumibile dal Dm 1444/1968 ed oggi definito dall’articolo 23 ter del Dpr 380/2001.
Le categorie urbanistiche sono cinque: residenziale, turistico ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale, rurale. All’interno di queste categorie, il mutamento di destinazione d’uso senza opere è sempre consentito, a meno che non vi sia una diversa previsione regionale o comunale. Se invece si trasmigra da una categoria all’altra (come nel caso esaminato al Tar), gli oneri sono dovuti perché diversi sono i flussi di traffico di clientela, nonché la redditività ed i vantaggi economici connessi alla diversa destinazione.
Problemi analoghi erano già state affrontati dal Tar Calabria (1498 / 2016) per un passaggio da industriale a commerciale, con diversa distribuzione di spazi interni, nonché dal Tar Piemonte (1110 / 2012), per un capannone agricolo trasformato ad uso commerciale per deposito di macchinari ed autoveicoli, destinazione incompatibile con l’assetto urbanistico agricolo della zona.

Il riutilizzo dei capannoni
La sentenza del Tar Firenze si innesta in una sentita esigenza di riutilizzo di capannoni: la Regione Veneto di recente (Lr 14 / 2017) ha consentito l’utilizzo temporaneo di capannoni per uso diverso rispetto alla destinazione originaria, senza dover ottenere varianti urbanistiche: così, per tre o cinque anni, nei capannoni di quella Regione, si possono ospitare centri ricreativi, spazi di co-working, sale da ballo, scuole private.
Con la logica del riutilizzo, non hanno più peso determinante le opere edili (tramezzi, suddivisioni interne, oggi liberalizzate dall’articolo 6 Dpr 380/2001), ma hanno rilievo le cinque predette categorie di destinazioni: del resto, anche nell’edilizia residenziale, frazionamenti e accorpamenti di unità immobiliari hanno un peso trascurabile (articolo 3 comma 1 lettera b Dpr 380/2001), e lo stesso restauro e risanamento conservativo consente anche il mutamento di destinazione d’uso, purché compatibile con le previsioni del strumento urbanistico.
L’unità di misura per passare da mera comunicazione (Cil) a segnalazione (Scia) ed al permesso di costruire, è quindi diventata la destinazione urbanstica.

La sentenza del Tar Toscana n. 309/2018

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