Personale

Contratto statali, ipotesi di rinnovo deludente per la Corte dei conti

di Carmelo Battaglia e Domenico D'Agostino

La Corte dei conti a Sezioni riunite in sede di controllo, con la Delibera n. 1/2018, ha certificato positivamente l’ipotesi di contratto nazionale, sottoscritta il 23 dicembre, relativa al personale del comparto Funzioni centrali per il triennio normativo 2016-2018, segnalando, tuttavia, una serie di criticità e formulando delle raccomandazioni nel rapporto di certificazione.
In tema di relazioni sindacali, la Corte ha segnalato che le competenze previste in capo all’istituendo Organismo paritetico per l’innovazione, in alcuni casi, si potrebbero sovrapporre a quelle già spettanti al Comitato unico di garanzia (CUG); pertanto, ha raccomandato il superamento di detta discrasia, al fine di evitare ogni interferenza tra i due organi.

La responsabilità disciplinare
Con riferimento alla responsabilità disciplinare dei dipendenti, la Corte ha evidenziato che il testo dell’accordo riporta, a fini di completezza e chiarezza espositiva, anche istituti regolamentati direttamente dalla legge, generando il rischio di una sovrapposizione normativa tra fonti di natura diversa. Pertanto, ha invitato a meglio precisare la natura innovativa o meramente ricognitiva di dette disposizioni contrattuali, ferma restando la prevalenza delle prescrizioni di rango normativo (primario o secondario) rispetto alle norme contenute nel Ccnl.

Gli aspetti economici
Per quanto attiene gli aspetti economici, i giudici contabili hanno evidenziato che la quota più consistente delle risorse è rappresentata dalla rivalutazione della retribuzione tabellare, quindi, l’obiettivo di perseguire una tendenziale omogeneizzazione dei trattamenti, indicato dal Comitato di settore, risulta attuato esclusivamente con riferimento alla componente stipendiale, e per una percentuale peraltro modesta, mentre si consolidano ed aumentano le differenze nella retribuzione complessivamente percepita dai dipendenti dei diversi Enti. Ad avviso della Corte, la perequazione tra i diversi trattamenti spettanti al personale confluito nel comparto rappresenta uno degli obiettivi strategici e, in mancanza di tale necessaria operazione, il contatto perde la propria funzione unitaria ed è destinato a ridursi alla sommatoria di discipline particolari e derogatorie.
Sotto il profilo della compatibilità economica, la magistratura contabile ha evidenziato che, alla luce dell’Intesa Governo-Sindacati sugli assetti contrattuali del personale del settore pubblico del 30 aprile 2009, il calcolo delle risorse da destinare agli incrementi contrattuali, per il triennio 2009-2011, avrebbe dovuto essere effettuato assumendo il valore stimato dell’Ipca (Indice dei prezzi al consumo armonizzato), al netto dei prodotti energetici importati, quale parametro di riferimento per l’individuazione dell’indice previsionale, da applicare ad una base di calcolo costituita dalle sole voci retributive di carattere stipendiale, ma tale previsione non ha trovato attuazione, per effetto della normativa sul blocco della contrattazione. Al termine del triennio, il predetto meccanismo avrebbe dovuto essere espressamente confermato, ovvero formare oggetto di revisione, invece, le parti lo hanno ritenuto superato con la sottoscrizione dell’Accordo del 30 novembre 2016, stipulato direttamente tra il Governo e le Parti sociali, che ha delineato incrementi retributivi medi mensili pari a 85 euro lordi. Secondo le SS.RR., ne sono risultati importi superiori a quelli previsti qualora si fosse applicato l’indice Ipca o il tasso di inflazione programmato, previsto nel precedente accordo del luglio 1993. Ciò posto, in mancanza di un parametro di riferimento predefinito, la verifica della compatibilità economica dei costi contrattuali diventa di non facile percorribilità. Pertanto, la Corte ha ritenuto indispensabile sollecitare la fissazione condivisa di nuove regole per la crescita programmata della retribuzione. Altresì, ha osservato che l’Ipotesi di rinnovo contrattuale si è rivelata nel suo complesso deludente, perché il vero parametro per certificare la compatibilità economica degli incrementi contrattuali non può prescindere da una valutazione degli effetti della contrattazione in termini di recupero della produttività del settore pubblico; mentre, di fatto, le risorse disponibili sono state utilizzate quasi esclusivamente per gli adeguamenti delle componenti fisse della retribuzione. Di contro, la legge delega n. 15/2009 affidava alla contrattazione collettiva il compito di procedere ad una sostanziale ridefinizione delle componenti variabili della retribuzione, da destinare prevalentemente a finalità realmente incentivanti e premiali.
In ultimo, le SS.RR. hanno giudicato negativamente il mancato completamento della riforma della pubblica amministrazione, di cui alla legge delega n. 124/2015, con riferimento alla complessiva riscrittura del Dlgs n. 165/2001 ed all’auspicata riforma della dirigenza.

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