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Il contratto inciampa sulla retroattività delle promozioni

Sono ancora le promozioni a far inciampare l’ipotesi di contratto di Regioni ed enti locali. Nelle «osservazioni» di ministero dell’Economia e Funzione pubblica che martedì hanno accompagnato il via libera del consiglio dei ministri (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa dell’11 aprile) è finita nel mirino la retroattività lunga prevista dal nuovo contratto per le progressioni economiche. Nessuna obiezione, invece, sugli aumenti tabellari, che «risultano contenuti entro i limiti delle risorse determinate nell’atto di indirizzo».

La decorrenza
La decorrenza delle promozioni è al centro di un lungo dibattito fra l’Aran e la Ragioneria generale. L’ipotesi di contratto firmata a febbraio prova a risolverla (articoli 16 e 68) prevedendo che i benefici economici prodotti dalle progressioni economiche orizzontali (quelle che aumentano la busta paga ma non cambiano l’inquadramento) decorrano dal momento della sottoscrizione del contratto. I ministeri premono invece per una retroattività più breve, che si fermi al 1° gennaio dell’anno in cui arriva al traguardo il procedimento della progressione. Tradotto, significa per esempio che per una promozione che viene completata a febbraio del 2019 l’aumento dovrebbe decorrere dal mese prima, e non dal 2018, cioè dalla firma dei nuovi contratti integrativi.

Meritocrazia e selettività
Con la retroattività lunga, ragionano però Economia e Funzione pubblica, rischiano di essere cancellati ufficialmente gli obiettivi di «meritocrazia e selettività» che da anni le norme imporrebbero alle progressioni economiche, che dovrebbero «valorizzare le capacità reali dei dipendenti, selezionati in base alle loro effettive conoscenze evitando di considerare la mera anzianità di servizio e altri riconoscimenti puramente formali». Obiettivi impossibili da raggiungere se gli aumenti possono tornare indietro fino al momento della sottoscrizione degli integrativi, quando «non sono noti i vincitori della procedura».

Gli effetti
L’inghippo secondo i ministeri potrebbe produrre poi «effetti onerosi derivanti anche dall’eventuale contenzioso» che si accenderebbe nell’incertezza delle regole. E per evitare il rischio, il governo indica due alternative: una clausola di salvaguardia che limiti la novità alle progressioni regolate dagli integrativi che arriveranno in seguito al nuovo contratto nazionale, oppure che la riservi ai casi in cui le risorse collegate alle progressioni non siano già state utilizzate per finanziare altri istituti contrattuali. Il governo, insomma, non sembrerebbe chiudere del tutto la porta alla retroattività lunga, anche se il richiamo al «consolidato orientamento» contrario e la sottolineatura che il meccanismo «non sembra pienamente in linea con le norme» non fanno presagire una strada semplice. Servono però almeno le clausole di salvaguardia, e la palla sul tema ripassa ad Aran e comitato di settore.

Gli aumenti delle indennità
Sempre in fatto di promozioni, resta aperto il problema degli aumenti delle indennità previsti dal nuovo contratto, che si incrociano male con il divieto di far crescere il fondo integrativo oltre ai livelli del 2016 fissato dall’articolo 23, comma 2 del Testo unico del pubblico impiego. Nel caso degli statali la questione è stata affrontata con una dichiarazione congiunta che esclude gli aumenti nazionali dalla base di calcolo per rispettare il tetto al 2016, ma nel contratto degli enti locali la dichiarazione non c’è.

C’è invece quella sull’esclusione dal vincolo per gli incentivi alle funzioni tecniche. Ma sul punto, rimarca il governo, bisogna aspettare le decisioni della Corte dei conti a sezioni Riunite.

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