Personale

Falso ideologico al tecnico del Comune che rilascia un’autorizzazione paesaggistica illecita

di Federico Gavioli

La Corte di cassazione, con la sentenza n.18890/2018, ha respinto il ricorso di un tecnico comunale; secondo i giudici di legittimità, per il dipendente comunale, vi è responsabilità penale per falsità ideologica anche se non ha preso parte alla relazione tecnica certificata da un privato. Il presupposto che abbia rilasciato una illecita autorizzazione paesaggistica ne determina comunque la responsabilità.

Il fatto e le motivazioni del ricorso in Cassazione
Il tecnico di un Comune è ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che, modificando la sentenza del Tribunale, lo aveva condannato alla pena di quattro mesi di reclusione per il reato di falsità ideologica; il dipendente comunale aveva rilasciato , in concorso con il proprietario committente, un'illecita autorizzazione paesaggistica al fine di realizzare una abitazione. In riferimento alla natura valutativa dell'autorizzazione paesaggistica, il tecnico comunale nel ricorso in Cassazione rileva che, con il provvedimento incriminato, egli si è limitato a prendere atto del contenuto della relazione tecnica del privato ed asseverata da altro tecnico, così come previsto dalla legislazione in materia edilizia. Egli non ha mai asseverato, a sua volta, quanto attestato dal privato e dal suo progettista, non essendo tale passaggio procedurale previsto, né necessario ai fini del rilascio dell'autorizzazione. Si è limitato a considerare come veri i dati attestati nella relazione del privato e che ha recepito come tali, non essendo suo compito quello di riscontrare la corrispondenza a vero dei fatti oggetto di asseverazione. Si potrebbe perciò ipotizzare, secondo la tesi difensiva del tecnico comunale, il falso ideologico indotto ai sensi dell'articolo 480 del Codice penale del quale risponde il privato, non il pubblico ufficiale, a meno di non voler ritenere il “dolus in re ipsa” ovvero un dolo per omissione.

L'analisi della Cassazione
Per la Corte di cassazione il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato. Il dipendente comunale imputato è responsabile di aver rilasciato una illecita autorizzazione paesaggistica dove si affermava falsamente la compatibilità ambientale dell'intervento e che lo stesso valorizzava l'assetto del sito, sul quale veniva prevista invece una densità di costruzione non consentita, con conseguente pregiudizio ambientale. Per i giudici di legittimità la tesi difensiva della insussistenza del reato è totalmente infondata alla luce del costante insegnamento della Cassazione la quale integra il reato previsto dall'articolo 479 del Codice penale (ma i termini del problema non cambiano in caso di sussistenza del reato di cui all'articolo 480) il rilascio di autorizzazione paesaggistica, da parte del responsabile dell'ufficio tecnico competente, nella consapevolezza della falsità di quanto attestato dal richiedente circa la sussistenza dei presupposti giuridico-fattuali per l'accoglimento della relativa domanda. I provvedimenti amministrativi emessi all'esito di una valutazione discrezionale di tipo tecnico non si sottraggono a tale principio. Se il pubblico ufficiale chiamato a esprimere un giudizio, è libero anche nella scelta dei criteri di valutazione, la sua attività è assolutamente discrezionale e, come tale, il documento che lo rappresenta non è destinato a provare la verità di alcun fatto. Diversamente, se l'atto da compiere fa riferimento implicito a previsioni normative, che dettano criteri di valutazione, si è in presenza di quella che, in sede amministrativa, si denomina discrezionalità tecnica, la quale vincola la valutazione a una verifica. In tal caso il pubblico ufficiale esprime pur sempre un giudizio, ma l'atto potrà essere obiettivamente falso se il giudizio di conformità, non sarà rispondente ai parametri cui il giudizio stesso è implicitamente vincolato. La tesi del cosiddetto «falso indotto» è radicalmente priva di fondamento fattuale prima ancora che giuridico poiché mai è stata messa in discussione la conformità a vero dei fatti rappresentati negli elaborati progettuali a corredo della richiesta di autorizzazione, tant'è che il Tribunale ha potuto agevolmente ricostruire la vicenda esaminando proprio gli atti prodotti dalla proprietaria/committente. E dunque il ricorrente/pubblico ufficiale aveva ben presenti i presupposti fattuali della condotta amministrativa e tutte le informazioni necessarie a esprimere un giudizio tecnico consapevole e coerente con i fatti documenti, senza necessità di sopralluoghi. Il ricorso è, pertanto, respinto con condanna del tecnico comunale anche al pagamento delle spese processuali.

La sentenza della Corte di cassazione penale n. 18890/2018

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