Personale

Zero management e troppe leggi: così si addestra la Pa

Norme, regolamenti, commi e codicilli dominano la formazione dei dipendenti pubblici, che invece mostra un disinteresse quasi assoluto per i temi dell’organizzazione e per le competenze manageriali e di comunicazione. Proprio su organizzazione e capacità comunicative, invece, i cittadini che si rivolgono agli uffici pubblici incontrano i deficit più elevati, ma quella formazione non c’è perché sono gli stessi dipendenti a non chiederla: la maggioranza di loro, anzi, ritiene di avere più competenze del necessario, e solo uno su cinque ammette di aver bisogno di rafforzare un po’ le proprie competenze.

Quella che emerge dalla ricerca Fpa che sarà presentata la settimana prossima al Forum Pa di Roma all’interno dell’indagine annuale sul pubblico impiego è l’immagine di una burocrazia che lavora per eternare se stessa. E lo fa proprio nel settore che dovrebbe essere strategico per innovare pratiche e comportamenti: la formazione dei dipendenti pubblici, almeno nel giudizio che loro stessi ne danno rispondendo alle domande di Fpa, guarda indietro più che avanti.

I numeri messi in fila dall’analisi sono utili per misurare in modo puntuale la distanza fra le priorità strategiche annunciate dalle riforme e la realtà quotidiana degli uffici. I contratti appena rinnovati per il pubblico impiego, e gli atti di indirizzo che stanno avviando le trattative sui dirigenti, alla formazione danno molta importanza. «Nel quadro dei processi di riforma e modernizzazione della pubblica amministrazione, la formazione del personale svolge un ruolo primario nelle strategie di cambiamento dirette a conseguire una maggiore qualità ed efficacia dell’attività delle amministrazioni», si legge per esempio all’articolo 52 del nuovo contratto degli statali; per questa ragione, continua il testo nato dall’accordo fra Aran e sindacati, «le amministrazioni assumono la formazione quale leva strategica per l’evoluzione professionale e per l’acquisizione e la condivisione degli obiettivi prioritari della modernizzazione e del cambiamento organizzativo»: obiettivi prioritari, insomma, quanto trascurati nelle aule dei corsi impegnati nell’eterna ricerca dell’ultimo comma.

Ma più che alla cattiva volontà, per capire come nasce l’agenda della formazione nella Pa bisogna richiamare la legge della domanda e dell’offerta. I dipendenti pubblici, spiegano in prima persona interpellati dalla ricerca Fpa, hanno un’alta considerazione sulla propria preparazione. Il 43,6% di loro dichiara senza tentennare di avere «molte più competenze» di quelle che utilizza nel lavoro quotidiano, il 34,5% si giudica abbastanza strutturato per svolgere la propria funzione e solo il 20,5% riconosce il bisogno di rinfrescare e aggiornare le competenze che ha. Ma c’è di più: a costruire le conoscenze dei dipendenti pubblici è protagonista “l’autoformazione” (riconosciuta come prioritaria dal 48,5% degli intervistati), attraverso gli approfondimenti individuali su riviste e giornali specializzati, oppure l’esperienza sul campo (31,2%), mentre meno di un dipendente ogni dieci attribuisce un peso determinante alle esperienze formative vere e proprie.

La morale della favola? «Siamo sulla strada sbagliata – sintetizza Carlo Mochi Sismondi, presidente di Fpa - con una formazione scarsa, per lo più su materie o specialistiche o giuridiche, il settore pubblico può al massimo fare un po’ meno errori nei compiti che già svolge e migliorare l’efficienza di procedure spesso inutili o assurdamente complicate. La formazione invece dovrebbe trasferire ai lavoratori le competenze in grado di accelerare l’evoluzione della Pa per consentirle di aprirsi ai cittadini, alle imprese, al contesto internazionale».

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