Personale

Troppa burocrazia nella valutazione delle performance dei dirigenti

di Domenico Gaglioti e Pasquale Monea

Sono abbastanza recenti alcuni interventi della magistratura contabile che pongono la valutazione dei dirigenti quale elemento al centro di importanti responsabilità erariali per i soggetti deputati. Sul tema una delle ultime decisioni (Corte dei Conti n. 185/2018) si sofferma su alcune vicende collegate ai mancati adempimenti degli obblighi di legge che hanno ripercussioni sulla valutazione della performance individuale o sulla corresponsione delle indennità connesse: quelle fattispecie che la stessa Corte dei Conti ha inteso definire responsabilità «tipizzate».

I precedenti giurisprudenziali
Una delle più importanti questioni è costituita dall'articolo 11, comma 9, del Dlgs 150/2009, oggi abrogata ma meritevole di approfondimento sia per gli strascichi che porta con sé sia per i suoi risvolti potenzialmente replicabili in fattispecie similari.
Già in un precedente del 2015 (Corte conti Lazio n. 81/2015) il nucleo di valutazione era stato condannato nella considerazione che gli obblighi normativi dei dirigenti, anche se tradotti in obiettivi individuali, non sono stati tenuti in considerazione in sede di valutazione. Al contrario in una successiva pronuncia (Sezione giurisdizionale Lazio n. 323/2016), il giudice aveva lasciato indenne il nucleo sulla base del rilievo per cui le schede della valutazione dirigenziale non comprendessero punteggi attinenti all'adempimento di obblighi di trasparenza e pubblicità, né gli obblighi fossero inseriti nel programma triennale della trasparenza dell'ente, ragion per cui il non averne tenuto conto in sede di valutazione sarebbe risultato privo di efficacia causale rispetto al danno prodotto.
In più aggiunge la Corte dei conti esula dalle competenze del nucleo una verifica sulla legittimità e regolarità dell'azione amministrativa che trascenda gli obiettivi attinenti alla valutazione e non vi sarebbe alcunché di rimproverabile al nucleo.

La decisione più recente
A fronte di questa impostazione, la giurisprudenza più recente appare invece attestarsi su posizioni ben più rigide, mettendo in stretta connessione obblighi di legge e momento valutativo. Nella sentenza richiamata all'inizio, la Corte dei conti affina ulteriormente la posizione, collegando la disposizione che impone specifici obblighi ai dirigenti e i principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione. In buona sostanza, in termini opposti alla soluzione fornita dalla sezione Lazio nel 2016 (per la quale, non essendo stati tradotti gli obblighi di legge in obiettivi di performance, non vi sarebbe spazio per il coinvolgimento del nucleo) nella più recente pronuncia si asserisce che l'articolo 11, comma 9, ma anche nei commi 1, 3 e 8, viene a fissare un fondamentale obiettivo strategico, di primaria rilevanza nel sistema organizzativo dell'amministrazione pubblica, consistente nella trasparenza intesa in termini di accessibilità totale; questa circostanza determina una vera e propria etero-integrazione legale degli obiettivi di performance e, più in generale, del complesso dei fattori valutativi. A ciò deve anche aggiungersi che proprio in capo al nucleo (o, meglio, in capo all'Oiv, ma con estensione al nucleo che ne esercita le funzioni) l'articolo 14 del Dlgs 150/2009 intesta uno specifico compito di controllo e monitoraggio del sistema di trasparenza nell'ente pubblico attuato anche a mezzo di interventi dell'Anci e del dipartimento della Funzione Pubblica (ciò secondo la prospettazione della Procura erariale ma non contestato dalla Corte). Da tutto questo consegue che, a prescindere da quanto definito nel sistema di valutazione della performance dell'amministrazione, il nucleo (o l'Oiv) non può tralasciare la disposizione in questione proprio in ambito valutativo e trarne le relative conseguenze. La soluzione, se consente di ampliare la sfera dei soggetti da coinvolgere in un giudizio di responsabilità amministrativa, genera qualche perplessità: anche a prescindere dal contesto letterale, è abbastanza definita la differenza tra l'apprezzamento della violazione di un obbligo di legge, che riguarda uno o più fatti specifici ma ben definiti e individuati, e la valutazione della performance individuale, quale giudizio complesso che si fonda sull'apprezzamento e sul contemperamento di una serie di fattori costituiti, nella loro essenzialità, dagli obiettivi (di struttura o individuali) e dal fattore comportamentale (comportamenti organizzativi, competenze professionali dimostrate capacità di differenziazione della valutazione dei collaboratori), articolati secondo declaratorie ben definite a monte nei sistemi di valutazione e negli atti di assegnazione degli obiettivi e dei fattori valutativi, fattori che, valutati in unità di sintesi, danno luogo ad un giudizio finale.

Le criticità
Inquadrando nel processo valutativo l'integrale non debenza della retribuzione di risultato in conseguenza della violazione di un obbligo specifico di legge si viene a polarizzare un processo particolarmente complesso e articolato su un unico fattore, se non addirittura su un solo e unico punto – cioè quello della prescrizione legislativa (tradotta ope legis in obiettivo) – sterilizzando cioè gli altri fattori valutativi. Una conclusione, nella sua linearità, non proprio coerente con la ratio della valutazione, circostanza, per il vero, che pare implicitamente e indirettamente riconosciuta anche dalla Corte nel momento in cui essa finisce, di fatto, per trasferire in sede di esercizio del potere riduttivo dell'addebito la complessità della valutazione.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©