Personale

Incompatibile il tempo pieno del docente universitario con incarici extra non autorizzati

di Michele Nico

L'indebita erogazione dell'indennità prevista per i docenti universitari a tempo pieno e la sistematica assunzione di incarichi esterni non autorizzati configurano una grave violazione dei doveri d'ufficio, per via del carattere di esclusività del rapporto di pubblico impiego. La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia con la sentenza n. 47/2018 ribadisce il principio e condanna un docente universitario al pagamento di oltre un milione di euro a titolo di risarcimento danni.
Al dipendente sono state imputate due distinte condotte illecite concomitanti, entrambe ritenute contrarie agli obblighi di servizio e lesive dell'integrità patrimoniale dell'ente pubblico, ossia l'indebita percezione dell'indennità aggiuntiva prevista per i docenti universitari a tempo pieno, incompatibile con le attività professionali extraistituzionali alle quale si dedicava abitualmente e la violazione dell'obbligo di corrispondere all'università le somme percepite da terzi nell'ambito di attività lavorative irregolari, svolte senza la prescritta autorizzazione del datore di lavoro.

La norma
Per quanto riguarda la prima fattispecie, la normativa in materia di status giuridico dei professori e dei ricercatori di ruolo prevede chiaramente l'incompatibilità del rapporto di lavoro in regime di tempo pieno (per il quale è prevista un'indennità mensile aggiuntiva) con lo svolgimento di un'attività professionale esterna.
Nel secondo caso, merita rilievo il profilo di danno erariale dovuto al mancato versamento all'ente di appartenenza dei compensi percepiti per lo svolgimento degli incarichi extraufficio senza la preventiva autorizzazione. Quest'obbligo è espressamente previsto dall'articolo 53, comma 7, del Dlgs 165/2001 (testo unico sul pubblico impiego) e riguarda pertanto la generalità dei dipendenti pubblici.
Si tratta di un dovere fondamentale che è stato ulteriormente rafforzato dalla normativa anticorruzione (legge 190/2012) con l'introduzione del comma 7-bis, nel quale si prevede che «l'omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei Conti». La precisazione, a dire il vero, non ha una portata innovativa, ma è comunque un segnale “forte” del legislatore per ribadire che la mancanza di autorizzazione nello svolgimento di un'attività extra lavorativa costituisce una condotta illecita suscettibile di ingenerare un danno erariale.

La giurisprudenza
Sul punto, la natura ricognitiva dell'articolo 53, comma 7-bis, trova ampia conferma nella giurisprudenza della Suprema corte, che con la sentenza a sezioni unite n. 22688/2011 ha ribadito la giurisdizione contabile per l'ipotesi di responsabilità amministrativa di un dipendente pubblico per la violazione non solo dei doveri tipici delle funzioni svolte, ma anche delle funzioni strumentali e, conseguentemente, nel caso di omessa richiesta di autorizzazione allo svolgimento di incarichi extralavorativi.
La severità del disposto traspare anche dall'approccio della giurisprudenza alla quantificazione del danno da risarcire, infatti la Corte di cassazione ha chiarito che il parametro di riferimento è costituito dal compenso percepito dal dipendente pubblico al lordo dell'imposta, non assumendo rilievo il fatto che per l'importo siano state operate le ritenute tributarie (Cassazione, sentenza n. 7343/2010).

L'interpretazione della corte
Ritornando alla pronuncia in commento, la sezione Friuli Venezia Giulia mette in luce la circostanza aggravante del protrarsi della situazione di illegittimità per un arco di tempo pluriennale. Questa condotta reiterata nel tempo, scrivono i giudici, «è sintomatica di un modus procedendi che rivela grave noncuranza della disciplina di settore e ostinata indifferenza agli obblighi di servizio», per cui al docente sotto accusa viene imputata «una singolare determinazione nel perpetrare i propri fini lucrativi in danno all'amministrazione di appartenenza».
Niente sconti o attenuanti, insomma, per l'applicazione di un divieto interpretato in modo restrittivo, che mostra ancora una volta il rigore della magistratura contabile nel vagliare gli obblighi di servizio che gravano sul dipendente pubblico in ragione del suo rapporto di lavoro con l'ente.

La sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale del Friuli Venezia Giulia n. 47/2018

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