Personale

Nuovo contratto, prestazione «flessibile» nell’arco del mese

di Consuelo Ziggiotto

Il contratto del 21 maggio 2018 consegna una disciplina nuova e di maggiore dettaglio rispetto alla previsione precedente in materia di flessibilità. La nuova regola consente al dipendente di rendere maggiormente flessibile la propria prestazione lavorativa e si pone come strumento di conciliazione vita-lavoro. Nei fatti, viene data ai lavoratori la possibilità di posticipare l'entrata in servizio, rispetto a un orario di inizio teorico, e/o di anticiparne l'uscita. Ciò che contraddistingue la previsione più recente è l'aver perimetrato l'arco temporale massimo entro il quale risulta legittimo l'esercizio della flessibilità, cosa che disposizione contrattuale precedente non faceva e l'Aran conferma che il mese è il termine temporale massimo entro il quale la prestazione ordinaria di lavoro deve essere resa, nel rispetto dell'obbligazione contrattuale.

Il vecchio contratto
L'articolo 17, comma 4, lettera a), ora disapplicato, declinava la flessibilità nella possibilità di posticipare l'orario di inizio, anticipare l'orario di uscita, o di avvalersi di entrambe le facoltà.
Lo spazio che la previsione lasciava era quello di consegnare al datore di lavoro il potere di definire il limite temporale entro il quale la prestazione lavorativa derivante dall'obbligazione contrattuale doveva essere interamente resa.
Gli enti si sono mossi in modi non uniformi, partendo da una flessibilità «in giornata» fino a gestioni dell'orario flessibile su base plurimensile.

Le novità
La disciplina è ora contenuta agli articoli 22 e 27 del contratto. La formulazione letterale propone delle fasce temporali entro le quali sono consentiti l'inizio e il termine della prestazione lavorativa giornaliera precisando che l'eventuale debito derivante dall'esercizio della flessibilità sia in entrata che in uscita nell'ambito della medesima giornata, deve essere recuperato nell'ambito del mese di maturazione dello stesso, secondo modalità e tempi concordati con il dirigente.
L'intervento del dirigente è atipico rispetto alla natura dell'istituto. La flessibilità infatti, una volta regolamentata, non richiede autorizzazione per essere agita.
La previsione intende mitigare l'esito di un insistente “abuso” nell'esercizio della flessibilità che potrebbe condurre a un numero consistente di ore di lavoro ordinario non rese e da restituire. In questo senso, l'intervento del dirigente che concorda i tempi preservando le esigenze organizzative e funzionali, si colloca come strumento di controllo circa il rispetto dell'orario di lavoro. Non ultimo, il contratto assegna alla sede decentrata il compito di fissare i criteri per l'individuazione di fasce temporali di flessibilità oraria in entrata e uscita che diventano materia oggetto di contrattazione collettiva integrativa, con la peculiarità che ove non sia raggiunto l'accordo tra le parti entro il termine massimo di sessanta giorni, le stesse riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione.
Nella disciplina previgente, il dirigente fissava le regole in materia di flessibilità facendone salva la sola informazione alle parti sindacali, come da competenza a lui assegnata dall'articolo 5, comma 2, del Dlgs 165/2001.

Il parere Aran
L'Aran si esprime chiarendo innanzitutto che il contratto non richiede necessariamente una rivisitazione delle regole in materie di flessibilità. Nel caso in cui l'ente abbia già regolamentato la materia in modo idoneo a soddisfare le esigenze di conciliazione di vita e lavoro, può non procedere a una ridefinizione delle fasce di flessibilità anche se queste sono indicate come materia oggetto di contrattazione decentrata.
L'Agenzia sottolinea come sia compito delle parti negoziali decentrate valutare gli interessi coinvolti e sulla base di questi decidere in materia.
Le decisioni non possono tuttavia non tenere conto delle previsioni contrattuali che definiscono il limite temporale massimo entro il quale la flessibilità può essere agita. Ne consegue che sarà dovere degli enti che hanno regolamentato la materia al di fuori delle nuove disposizioni contrattuali, adoperarsi per ridefinire la disciplina.

Il parere dell’Aran

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