Personale

Riforma della Pa, alcune leve per avviare il cambiamento

di Luca Tamassia e Angelo Maria Savazzi

Il nuovo ministro della Funzione Pubblica Giulia Bongiorno ha indicato alcune linee della sua azione di governo che intende sviluppare attraverso interventi mirati, “chirurgici”, sulla normativa attuale.
All’inizio di ogni legislatura si è sempre fatto riferimento all’esigenza di rivedere il funzionamento della macchina burocratico-amministrativa delle Amministrazioni pubbliche ed è, forse, la prima volta che, rispetto a questa esigenza, si parla di interventi mirati finalizzati a far funzionare meglio le norme attualmente vigenti, attraverso il corretto utilizzo delle leve, almeno in parte, già disponibili.

La verità è che si tratta di leve che gli organi politici, in passato, non hanno avuto alcun interesse ad attivare, mentre le strutture burocratiche dell’ente preferiscono farne un utilizzo “difensivo”, che significa, molto spesso, «arrendersi alle criticità» e scaricare le responsabilità su altri; conseguentemente ognuno risponde del piccolo tassello di competenze e non dei risultati. Per cui una prestazione diviene eccellente perché si sono espletate le attività di propria competenza e non perché si sono raggiungi i risultati cui la prestazione mirava. Ma per intercettare le prestazioni inadeguate occorre saperle riconoscere, così come per premiare le eccellenze occorre che queste siano tali e coerenti con la performance generale dell’Amministrazione.

Uno dei nodi, solo apparentemente insolubili, è il fatto che le strutture burocratico-amministrative sostengono, non di rado, che manca la volontà politica e gli organi politici si lamentano, a loro volta, della scarsa qualità del personale, in una sorta di circuito vizioso che sembra privo di una via d’uscita. Prima ancora di puntare a modifiche normative, che pure sono necessarie, proviamo a fornire, a legislazione vigente, alcuni spunti di miglioramento di sistema sui quali sarebbe possibile operare immediatamente:
1. I sistemi valutativi del personale e delle organizzazioni non sono ancora sufficientemente indipendenti ed autonomi dalle logiche interne ed il condizionamento, rispetto a queste logiche, consente, ad ogni amministrazione, di definire il proprio sistema valutativo in modo completamente autonomo; insomma ognuno fa come vuole, giustificandosi con il rispetto delle norme di principio. Oggi siamo in un contesto di armonizzazione contabile per cui tutti i bilanci degli enti hanno la medesima struttura, anche se i numeri sono diversi; allora perché non puntare all’armonizzazione anche dei sistemi valutativi per renderli confrontabili ed evitare che la valutazione del personale in un Ente segua uno schema valutativo completamente diverso da un altro?
2. Attenzione: questo non significa standardizzare gli obiettivi, ma significa solo definire uno schema valutativo uniforme. Per esempio, la coerenza tra la performance dell’Amministrazione nel suo complesso, la performance delle singole unità organizzative e la performance individuale è ancora molto debole. Occorre fornire una definizione chiara, certa, stabile nel tempo dei diversi livelli di performance e del legame che deve esistere tra di loro. Non è più possibile che ogni amministrazione dia una definizione e declini i livelli di performance e la loro reciproca influenza in modo assolutamente autonomo. La conseguenza di ciò è che assistiamo ad Enti in cui le performance negative dell’amministrazione nel suo complesso non determinano alcuna influenza sulle valutazioni individuali e dove, dietro il diaframma del contributo individuale, si nasconde una modalità che tende a disconoscere i trend ed i risultati negativi.
3. Una regola di buon senso, inoltre, richiederebbe che, rispetto a pochi e significativi indicatori chiave (scelti, questi sì, autonomamente ed internamente dall’Amministrazione, previa validazione da parte degli organismi di valutazione indipendenti) che attengono all’amministrazione nel suo complesso, gli eventuali risultati negativi accertati al di sotto di una determinata soglia impediscano, in radice, la possibilità di pervenire a risultati individuali eccellenti. Non è certamente difficile, l’attuale assetto normativo lo consentirebbe, ma i sistemi delle singole amministrazioni non lo recepiscono adeguatamente; si tratta di attuare una regola di mero equilibrio riconducibile al buon senso che permea la vita di ogni comunità: se la comunità, nel suo complesso, produce dei risultati (negativi o positivi) non è ipotizzabile che i risultati individuali siano complessivamente in contrasto con questi risultati o che non ne siano influenzati. Perché non esercitare effettivamente i compiti assegnati dalla legge al Dipartimento della Funzione pubblica per indirizzare le Amministrazioni in questa direzione?
4. La “valutazione difensiva” rientra nella patologia dei sistemi valutativi: quella, cioè, per cui la valutazione è un adempimento formale che si assolve esclusivamente al fine di consentire l’attivazione dei meccanismi premiali che, di fatto, sono considerati parte integrante della remunerazione della prestazione lavorativa. Occorre rompere questo legame ed utilizzare, a tal fine, poche regole semplici: 1) gli obiettivi devono essere credibili e, per esserlo, devono essere definiti, con il concorso di tutti livelli, politici e amministrativi, da strutture indipendenti ed autorevoli con lo scopo di determinare un effettivo stimolo al miglioramento in relazione alle specifiche situazioni di contesto; 2) gli obiettivi devono essere misurati attraverso sistemi certi, stabili, riproducibili e non attraverso mere dichiarazioni delle strutture interessate; 3) gli organismi di valutazione, per essere davvero indipendenti, devono essere nominati da autorità esterne o con modalità che spezzino il degenerativo connubio con gli organi di vertice dell’amministrazione. Da queste poche regole discende una conseguenza radicale: laddove non sia possibile individuare obiettivi di questa portata e gli organi preposti alla valutazione siano ancora espressione del potere politico occorrerà prendere atto che non esistono le condizioni per valutare le relative prestazioni e, quindi, occorre “saltare un giro”.
5. Necessita rompere il meccanismo perverso in base al quale, una volta assegnati gli obiettivi di performance, la prestazione lavorativa viene concentrata solo su ciò che dà diritto alla premialità, tralasciando il presidio dei processi o delle specifiche attività non correlate ai risultati di performance. Va ribadito, infatti, che la retribuzione si compone di due parti: una parte, legata al ruolo e alla posizione ricoperta nell’organizzazione, è funzionale a remunerare la prestazione lavorativa, per cui eventuali limiti e criticità devono essere intercettati ed essere rilevanti anche ai fini della carriera o per il conferimento di incarichi. Una seconda parte, invece, distinta dalla prima e solo eventuale, deve essere legata ai risultati di performance organizzativa e individuale. Qui una piccola modifica normativa, quanto meno in termini di chiarimento e/o specificazione, certamente aiuterebbe.
6. Occorre pensare a sistemi dinamici di assegnazione e monitoraggio degli obiettivi, in linea con la flessibilità richiesta alle moderne organizzazioni. Ancora oggi, infatti, si opera con organizzazioni di tipo gerarchico, staticamente strutturate all’interno di un assetto organizzativo che non è in grado di combinare, al meglio, le competenze interne. Quante volte ci si trova di fronte all’esigenza di costituire task force per affrontare delle criticità e poi, però, la partecipazione a quella task force sfugge al sistema valutativo?
7. Non è più possibile, altresì, assistere a valutazioni basate su obiettivi misurati attraverso il numero di riunioni o il numero di giornate formative o per avere predisposto delle bozze di capitolati o di atti amministrativi. Insomma, non sono pochi i casi in cui ci troviamo di fronte ad Amministrazioni che, anziché operare nella direzione di risultati tangibili, credibili e comprensibili agli interlocutori esterni, si misurano esclusivamente con gli adempimenti burocratici, per cui il contributo al raggiungimento degli obiettivi è ancorato al perimetro delle proprie competenze e non con riferimento al risultato finale che, invece, dovrebbe essere l’unico parametro di riferimento certo e del cui perseguimento tutte le strutture coinvolte dovrebbe essere responsabili. E allora è necessario che queste anomalie vengano rilevate tempestivamente e, per farlo, è opportuno che il ruolo degli organismi di valutazione indipendenti venga rafforzato, nella logica sopra indicata, e non venga inteso come meramente adempimentale o ispettivo.
8. Gli organismi di valutazione indipendenti possono, e devono, svolgere un ruolo chiave nel supporto allo sviluppo di organizzazioni flessibili e più coerenti con le mutate esigenze di rendicontazione e, ancor prima, di definizione degli obiettivi. Gli stimoli e le sollecitazioni provenienti da tali organismi devono essere visti come un’opportunità per le amministrazioni, un supporto costante e qualificato, proprio perché si tratta di un punto di vista che va oltre i recinti delle amministrazioni, ed esprimono una percezione indipendente e terza rispetto agli attori coinvolti nei processi valutativi. Ciò implica la necessità di superare la logica meramente ispettiva, che pure traspare, in parte, dall’assetto normativo vigente, per favorirne il ruolo di supporto, di stimolo e di accompagnamento permanente e responsabile ai processi di miglioramento delle amministrazioni. Occorre, quindi, puntare sulla crescita di una comunità professionale di valutatori, altamente specializzata e con competenze multidisciplinari, per evitare che il sistema valutativo sia esposto al rischio di depotenziamento rispetto alle finalità che l’ordinamento gli conferisce.
9. L’indipendenza e l’autonomia degli organismi di valutazione deve essere garantita anche assicurando strutture adeguate di supporto multidisciplinari, che siano sganciate da vincoli funzionali e gerarchici con le strutture interne dell’amministrazione, che rischiano di determinarne un forte condizionamento operativo. E, per i piccoli comuni, puntare, proprio per mantenere alto il livello professionale, sulla gestione associata del servizio.
10.   Infine, le regole che presiedono alla costituzione dei fondi di alimentazione del salario accessorio sulle quali molto ci sarebbe da fare. Il legislatore aveva già preso atto della complessità applicativa della disciplina vigente ed era intervenuto con il d.l. n. 16/2014 per consentire alle amministrazioni che, in passato, non avevano rispettato i vincoli finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa,  di recuperare, a valere sui fondi futuri, le somme indebitamente erogate “mediante il graduale riassorbimento delle stesse, con quote annuali e per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento” dei vincoli. Pur prendendo atto della complessità e delle difficoltà applicative, che spesso hanno generato rilievi dei servizi ispettivi e giudizi per danno erariale da parte della Corte di Conti, il sistema contrattuale nazionale ne ha lasciato sostanzialmente inalterata la disciplina. Ancorché, poi, con la direttiva per il rinnovo dei Ccnl, il Ministro della funzione pubblica pro tempore aveva previsto il riordino e la razionalizzazione della disciplina dei flussi di costituzione dei fondi, in un’ottica di sentita ed, oramai, non più evitabile, semplificazione amministrativa, tali indirizzi non sembra siano stati pienamente recepiti dai Ccnl stipulati fino ad oggi, lasciando la direttiva lettera morta.
11.   Un’ultima, ma non per questo meno rilevante, osservazione: gli obiettivi da conseguire, ai fini del riconoscimento dei regimi premiali, devono necessariamente produrre un significativo miglioramento di sistema, inderogabile presupposto che l’ordinamento ha espressamente previsto per tali finalità (art. 5, comma 2, let. c), del Dlgs. n. 150/20019). Ciò determina la necessità di introdurre apposite metriche di misurazione non tanto e non solo del grado di raggiungimento degli obiettivi assegnati, quanto, e soprattutto, del rilevante miglioramento della qualità dei servizi che il raggiungimento dell’obiettivo ha prodotto nell’ambito del sistema gestito dalla singola amministrazione pubblica. La falsa prospettiva della misurazione del livello di conseguimento dei risultati, infatti, ancora oggi determina un generale e diffuso sistema di erogazioni premiali del tutto immotivate, fonte di dispersioni economiche e di corrispondenti responsabilità, a tutti i livelli accertabili.

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