Personale

Legittimo il licenziamento del dipendente «recidivo» nell’allontanarsi arbitrariamente dal luogo di lavoro

di Andrea Alberto Moramarco

È legittimo il licenziamento del dipendente pubblico, nella specie dell'Università, che, dopo essere già stato sanzionato per lo stesso tipo di condotta, abbandoni arbitrariamente il luogo di lavoro senza registrare il suo allontanamento. In questo caso si configura la fattispecie di falsa attestazione della presenza, prevista dall'articolo 55-quater, comma 1, lettera a) del Testo unico sul pubblico impiego (Dlgs 165/2001 ), oggi ulteriormente specificata dal comma 1-bis della disposizione. Inoltre, la norma prevale sulla contrattazione collettiva che prevede per la stessa condotta una sanzione più lieve rispetto a quella del licenziamento. È quanto afferma la Sezione lavoro della Cassazione nella sentenza n. 22075, depositata ieri.

Il caso
Protagonista della vicenda è un dipendente dell'Università degli Studi di Firenze il quale era stato licenziato dall'Ateneo fiorentino per essersi allontanato dal luogo di lavoro, in assenza di autorizzazione e senza attestare l'uscita nel sistema di rilevamento delle presenze. Nello specifico, la massima sanzione disciplinare era scattata poiché lo stesso dipendente già in passato si era reso protagonista di comportamenti analoghi, allontanandosi arbitrariamente dal posto di lavoro senza fornire spiegazioni ai colleghi, venendo sanzionato con provvedimenti disciplinari, da ultimo con la sospensione del servizio per 6 mesi con privazione della retribuzione. Pertanto, dopo l'ultimo episodio, l'Università all'esito dell'istruttoria, aveva optato per la misura del licenziamento.

La qualificazione della condotta e la sanzione
La vicenda passava dinanzi ai giudici che, dopo aver annullato il provvedimento in primo grado, in appello confermavano la legittimità della sanzione irrogata. Il lavoratore a questo punto si rivolgeva in Cassazione, contestando la qualificazione giuridica della condotta e l'irrogazione della massima sanzione disciplinare, non prevista dalla contrattazione collettiva. Per il dipendente, infatti, l'allontanamento ingiustificato dal posto di lavoro non poteva rientrare nella fattispecie prevista dal Testo unico sul pubblico impiego, in quanto solo conle modifiche del Dlgs 116/2016 - non applicabile ratione temporis al caso di specie - il legislatore aveva specificato la nozione di falsa attestazione in servizio. Per contro, avrebbe dovuto applicarsi l'articolo 46 del contratto del 2008 per il personale del comparto università, che sanziona l'abbandono ingiustificato del servizio con la sospensione sino a 6 mesi in caso di comportamento recidivo.

L'allontanamento equivale a falsa attestazione della presenza
La Cassazione conferma però il verdetto. In primo luogo, la Corte chiarisce che rientra tra le ipotesi di assenza ingiustificata del Testo unico sul pubblico impiego, «non solo il caso dell'alterazione del sistema di rilevamento delle presenze, ma anche l'allontanamento del lavoratore nel periodo intermedio tra le timbrature di entrata ed uscita, trattandosi di un comportamento fraudolento diretto a fare emergere falsamente la presenza in ufficio». Inoltre, la modifica legislativa del 2016 per la quale «costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l'amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell'orario di lavoro dello stesso» ha avuto il compito di specificare meglio un precetto già desumibile dalla disciplina previgente. In altri termini, la nuova disposizione ha soltanto un fine chiarificatorio, sicché deve escludersi una sua portata innovativa, con la conseguenza che ben può la condotta contestata al ricorrente essere ricondotta all'articolo 55-quater, comma 1, lettera a) del Testo unico sul pubblico impiego.

Il contratto collettivo cede il passo alla legge
I giudici di legittimità eliminano ogni dubbio circa il rapporto tra norma di legge e contrattazione collettiva in merito ai provvedimenti disciplinari. Il legislatore nell'introdurre fattispecie legali di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo, «aggiuntive rispetto a quelle individuate dalla contrattazione collettiva, ha anche affermato con chiarezza la preminenza della disciplina legale rispetto a quella di fonte contrattuale, che, quindi, non può essere più invocata, ove in contrasto con la norma inderogabile di legge». Pertanto, chiosa la Corte, la normativa inderogabile di legge, anche se più severa, prevale su quella contrattuale, alla quale si sostituisce automaticamente.

La sentenza della Corte di cassazione n. 22075/2018

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