Personale

Nessun risarcimento ai vigili urbani per l’acquisto in proprio delle divise

di Federico Gavioli

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 21986/2018, nel rigettare il ricorso di due vigili urbani contro il Comune di appartenenza, ha affermato che non c'è diritto al risarcimento per l'acquisto, in proprio, del vestiario da parte dei vigili non forniti della divisa e neppure c'è danno all'immagine.

Il caso
La Corte d'appello ha confermato la sentenza del Tribunale che aveva rigettato le domande proposte da due vigili urbani in servizio presso il Comando di Polizia municipale di un Comune , al fine di ottenere l'accertamento del diritto alla fornitura dei capi di vestiario da indossare in servizio e, a seguito dell'inadempimento del Comune, per la condanna dello stesso al pagamento dell'indennità sostitutiva parametrata al valore dell'acquisto dei capi di vestiario non forniti, nonché al risarcimento di danni all'immagine e alla dignità personale e professionale.
I giudici del merito di secondo grado, nel rigettare la domanda, avevano argomentato che il Comune ha in realtà provveduto alla fornitura delle uniformi, sia pure in ritardo rispetto a quanto previsto e precisamente ogni anno con slittamento di un anno.
La Corte territoriale, inoltre, ha affermato , in riferimento alla pretesa dei due vigili ricorrenti che, anche ammettendo l'obbligo di fornire la massa vestiaria, non si poteva parlare automaticamente di diritto all’indennità sostitutiva in caso di inadempimento, né la domanda poteva essere accolta sotto il profilo dell'indebito arricchimento ottenuto dalla pubblica amministrazione a causa della mancata fornitura, aspetto tra l'altro non provato dai due vigili ricorrenti.

L'analisi della Cassazione
Per la Corte di cassazione le motivazioni del ricorso dei due vigili urbani non sono fondate. I giudici di legittimità osservano che l'inadempienza contrattuale determinata dalla mancata fornitura della massa vestiaria legittima una domanda risarcitoria dei lavoratori; tuttavia l'accoglimento della domanda presuppone la dimostrazione che i lavoratori abbiano in concreto subito un pregiudizio economico, quale un'usura dei propri abiti , ovvero il danno rappresentato dal costo sostenuto per il loro acquisto. Di conseguenza, osservano i giudici di Piazza Cavour, se non c'è prova del danno non è possibile provvedere alla valutazione equitativa, come chiesto dai due vigili ricorrenti.
Per la Corte di cassazione non è possibile , inoltre, richiedere il danno all'immagine per la mancata tempestiva sostituzione delle divise, considerato che anche il danno all'immagine e alla reputazione, in quanto costituente «danno conseguenza», non può ritenersi sussistente «in re ipsa», dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento.

La sentenza della Corte di cassazione n. 21986/2018

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©