Personale

La gerarchia dirigenziale non va modificata se la riorganizzazione non cambia i compiti

di Arturo Bianco

La graduazione delle posizioni dirigenziali ai fini della determinazione della indennità di posizione non deve essere modificata per gli incarichi, che non sono interessati da mutamenti organizzativi e non è necessaria per questi atti la comunicazione di avvio del procedimento. Nel caso della Avvocatura non si può invocare la normativa che disciplina l'attività forense.
Sono queste le indicazioni di maggiore rilievo contenute nella sentenza della prima sezione del Tar dell'Emilia-Romagna n. 961/2018, che ha peraltro definito in modo preciso la ripartizione delle competenze in questa materia tra giudici amministrativi e ordinari. Siamo in presenza di una sentenza che in modo molto netto fissa gli ambiti entro cui le scelte delle Pa in questa materia sono da giudicare come legittime.

Nella adozione delle graduazioni o pesature delle posizioni dirigenziali le amministrazioni devono rispettare i vincoli di informazione e partecipazione dei soggetti sindacali. Esse non sono obbligate a modificare le graduazioni delle articolazioni organizzative che non sono direttamente interessate da modifiche di attribuzioni e/o competenze. È questa una indicazione assai importante sul terreno operativo, visto che ne scaturisce la conseguenza che tali modifiche vanno adottate solamente nel caso di mutamenti che, possiamo aggiungere, significativi dei compiti dei dirigenti. Gli atti di macro organizzazione delle amministrazioni pubbliche sono esclusi dal vincolo della preventiva comunicazione di avvio del procedimento amministrativo. Inoltre, si deve evidenziare che nell'iter procedurale è stata garantita ampia pubblicità alla volontà dell'ente, come dimostrato ad esempio dal rispetto dei vincoli di informazione ai soggetti sindacali, per cui la scelta che l'ente andava a compiere era comunque conosciuta o conoscibile da parte degli interessati.

Non si può invocare la normativa che disciplina l'attività degli avvocati: per le Pa essa si limita a imporre la necessità che sia costituita un’Avvocatura, cui deve essere garantita un'ampia autonomia. E, ancora, prescrive che gli avvocati dipendenti o dirigenti pubblici non svolgano attività gestionali. Per cui non ha alcuna attinenza con la graduazione degli incarichi dirigenziali degli avvocati.

Infine, assume un notevole rilievo la definizione della ripartizione delle competenze del giudice amministrativo rispetto a quello ordinario. Viene richiamata la sentenza del Consiglio di Stato n. 4719/2017 e si arriva alla conclusione che la competenza spetta al giudice amministrativo tutte le volte che viene eccepito un vizio del provvedimento amministrativo che può produrre la lesione di un interesse legittimo, mentre il contenzioso spetta al giudice del lavoro se l'atto amministrativo attiene strettamente al rapporto di lavoro. Per cui siamo - nel caso specifico - nell'ambito della prima fattispecie perché il contenzioso ha come oggetto le scelte organizzative compiute dall'ente. Se nel caso specifico venisse invece lamentata una disparità di trattamento, quindi una errata applicazione della metodologia definita dall'ente, la competenza a giudicare deve essere ritenuta attribuita al giudice del lavoro.

La sentenza del Tar Emilia-Romagna n. 961/2018

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