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Scuola, dalla Corte Ue l’ok al calcolo che riduce l’anzianità di servizio dei precari stabilizzati

di Paola Rossi

La norma italiana che, all'atto dell'assunzione per titoli di docenti precari, prevede una presa in considerazione ridotta dei periodi di lavoro svolti ai fini del calcolo dell'anzianità di servizio, non contrasta con le norme Ue sul lavoro a tempo determinato.
Così la Corte di giustizia dell'Unione europea, con la sentenza n. C-466/17, sulla lite che vedeva opposti una docente stabilizzata «per titoli» dopo ben 8 contratti successivi a tempo determinato e il proprio datore di lavoro, la Provincia autonoma di Trento.
La Provincia, nell'immettere in ruolo l'insegnante, le aveva calcolato come anzianità piena solo 4 anni e per gli anni ulteriori la prendeva in considerazione solo nella misura dei due terzi. Tutto ciò applicando la norma, ora assolta dal giudice europeo, prevista dal testo unico della scuola (articolo 485 del Dlgs 297/1994).


La regola nazionale è stata posta a raffronto con la norma sovranazionale dell'accordo quadro europeo sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/Ce, per verificarne la legittimità. Infatti, le norme europee vietano discriminazioni tra il tempo determinato e quello indeterminato per posizioni lavorative comparabili, a meno di 'giustificazioni oggettive'. In tal caso sono state accolte le giustificazioni portate dal Governo italiano sul rischio di una discriminazione al contrario nei confronti di chi accede all'immissione in ruolo tramite concorso, a cui è richiesto di essere da subito in possesso di tutte le competenze necessarie a ricoprire il ruolo. Mentre in Italia il docente precario acquista esperienza e competenze attraverso supplenze temporanee e l'insegnamento di svariate materie. Cioè in maniera tendenzialmente progressiva. Ovviamente - spiega la Corte Ue - presupposto giustificativo del differente trattamento non può essere di per sé il diverso termine del contratto di lavoro, ma altri fattori oggettivi. Giustificazioni valide per il regime italiano sono state, oltre alla mancata verifica iniziale del possesso delle competenze da parte dei precari, anche il loro minor impegno orario nell'arco dell'anno rispetto a chi è di ruolo e il riconoscimento di un'intera annualità di lavoro al raggiungimento del tetto di 180 giorni.

Una volta affermata la legittimità della riduzione dell'anzianità per chi viene stabilizzato resta aperto il nodo, di competenza del giudice italiano del rinvio, se l'attribuzione della fascia retributiva alla ricorrente dovesse seguire la norma vigente al momento dell'assunzione a tempo indeterminato o quella in vigore alla data in cui la Pa ha fatto la ricostruzione della sua carriera. Sulla retroattività della norma sopravvenuta, che nel caso a quo ha determinato l'attribuzione della I fascia retributiva invece della II, giudicherà appunto il magistrato della causa italiana. Infine, la Corte europea - dopo aver 'giustificato' i diversi trattamenti a fronte della piena comparabilità tra vincitori di concorso ed ex precari una volta immessi nello stesso ruolo - lancia un interrogativo all'Italia e ai suoi Governi: perché sono così sporadiche le selezioni concorsuali se a esse si attribuisce la finalità di individuare subito le professionalità migliori? Molto diffusa è stata infatti la ripetizione di contratti a termine per coprire i ruoli nella scuola, in deroga frequente all'articolo 97 della Costituzione che pone proprio il concorso a base dell'ingresso nel pubblico impiego.

La sentenza della Corte di giustizia dell’Ue sulla causa C-466/17

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