Personale

La titolarità delle funzioni valutative non può essere sottratta ai dirigenti

di Luca Tamassia e Angelo Maria Savazzi

La valutazione della performance deve riguardare, oltre l’amministrazione nel suo complesso e le singole unità organizzative, anche i singoli dipendenti che fanno parte dell’organizzazione (articolo 3, comma 2, Dlgs 150/2009). Per le finalità cui è indirizzata la valutazione individuale è da escludere che, nell’assetto normativo e contrattuale attuale, sia possibile individuare figure di personale dipendente esonerate dall’applicazione delle disposizioni in materia di valutazione individuale.

Le finalità della valutazione individuale

Le finalità della valutazione individuale previste dal Dlgs 150/2009 sono le seguenti (art. 3, comma 5):
-  erogazione di premi e componenti del trattamento retributivo legati alla performance individuale;
-  rilevanza ai fini del riconoscimento delle progressioni economiche;
-  rilevanza ai fini dell’attribuzione degli incarichi di responsabilità al personale;
-  rilevanza ai fini del conferimento degli incarichi dirigenziali.
Un’ulteriore finalità della valutazione individuale è quella prevista dal nuovo comma 5 bis dell’articolo 3 del Dlgs 150/2009, introdotto dal Dlgs 74/2017, il quale disciplina le conseguenze della valutazione negativa del personale, prevedendone la rilevanza ai fini della l’accertamento della responsabilità dirigenziale di cui all’articolo 21, Dlgs 165/2001 e ai fini dell’irrogazione del licenziamento disciplinare come normato dall’articolo 55 quater, comma 1, lettera f quinquies, Dlgs 165/2001 (“licenziamento per insufficiente rendimento”).
Per conseguire le predette finalità, l’ordinamento interno delle amministrazioni pubbliche deve esercitare la propria autonomia definendo le discipline di dettaglio che ne consentano il concreto perseguimento e per far ciò occorre considerare anche la disciplina contrattuale vigente, come, per esempio, in materia di riconoscimento delle progressioni economiche o di distribuzione degli istituti premiali.

La titolarità
La normativa di dettaglio della performance individuale deve disciplinare, tra l’altro, la titolarità del potere valutativo anche in considerazione dei diversi eventi modificativi del rapporto valutatore-valutato che possono intervenire nel corso del tempo .
La fonte normativa della titolarità del potere valutativo è individuabile nell’articolo 17, comma 1, lettera e bis), del Dlgs 165/2001 il quale fa rientrare, nell’ambito delle competenze connaturate alla posizione dirigenziale, “la valutazione del personale assegnato ai propri uffici”. E’, pertanto, da escludere che possa essere previsto lo spostamento di tale specifica competenza a soggetti diversi dal dirigente preposto ad una determinata unità organizzativa. A ben vedere la valutazione del personale rientra nell’ambito  dei compiti di gestione del personale che lo stesso articolo affida sempre ai dirigenti e, comunque,  della generale competenza per l’ adozione di determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro, le quali, in base all’articolo 5, comma 2, del medesimo decreto, “sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro”. Conseguentemente, alla titolarità del potere valutativo è associato, necessariamente, il compito di assegnare gli obiettivi che ne costituiscono una condizione e un prerequisito imprescindibile.
L’ordinamento si preoccupa di intervenire sulla valutazione dei dirigenti di vertice che, proprio per il posizionamento nell’organizzazione, sfuggono alla regola generale secondo la quale i titolari del potere valutativo sono i dirigenti. In questi casi l’articolo 7, comma 2, lettera a), Dlgs 150/2009, con norma generale applicabile a tutte le amministrazioni pubbliche, pur non identificando, in modo diretto e puntuale, la titolarità, stabilisce che la valutazione finale debba essere preceduta dalla proposta formulata da un organismo tecnico e imparziale, adeguatamente qualificato, ovvero l’organismo indipendente di valutazione.
Questa scelta effettuata dal legislatore non inibisce, tuttavia, alle amministrazioni, di affidare la valutazione finale all’Oiv, ma, sicuramente, impedisce che la stessa possa essere definita dall’organo politico di vertice (sindaco o giunta nelle amministrazioni comunali, presidente o giunta regionale nelle regioni e così via), senza che sia preceduta dall’istruttoria valutativa e, quindi, da una specifica proposta formulata dall’organo tecnico e indipendente, quale momento di garanzia nell’ambito del sempre delicato rapporto tra governo e gestione. Tale scelta appare coerente con l’esigenza di fornire, al titolare del potere valutativo, un idoneo supporto tecnico ed un qualificato contributo d’apprezzamento, scongiurando, in tal modo, il pericolo che la valutazione sia orientata da considerazioni strettamente politiche o, addirittura, arbitrarie, sia in senso positivo che negativo.
Nell’ipotesi di strutture organizzative articolate su più livelli gerarchici (ad esempio dipartimenti articolati in settori o settori articolati in servizi), la titolarità del potere valutativo per i dirigenti di secondo livello deve essere di competenza dei dirigenti di primo livello; ciò perché, come si è visto, si tratta di un compito connaturato alla posizione dirigenziale, funzione che qualifica il ruolo dirigenziale sovraordinato e che non può essere sottratto ai dirigenti di primo livello; d’altra parte i compiti di organizzazione e gestione affidati ai dirigenti necessitano di questa importante leva di orientamento dell’azione dei collaboratori, che trova, nell’assegnazione degli obiettivi e nella valutazione finale, due momenti strettamente legati.
L’articolo 7 del Dlgs 150/2009 stabilisce che la proposta valutativa dei dirigenti di vertice spetti all’Oiv (o nucleo di valutazione, in quanto, trattandosi di una norma di principio, non può certamente essere elusa attraverso una mera ridenominazione dell’organo preposto) e tale compito di proposta non può essere escluso, mentre l’amministrazione può, certamente, estendere i compiti di tali organismi fino alla proposta di valutazione anche dei dirigenti non di vertice, supportando, in tal modo, l’azione valutativa dei dirigenti sovraordinati; questa è una possibilità che spetta agli enti esercitare nell’ambito del SMiVaP.

Eventi modificativi del rapporto valutatore-valutato
L’esercizio del potere valutativo può essere influenzato dalle modifiche apportate agli incarichi direzionali, qualunque ne sia la ragione; si deve, pertanto, ritenere che la titolarità spetti al dirigente che al momento della valutazione risulti destinatario dell’incarico di dirigente della struttura cui il valutato è assegnato. Appare evidente, infatti, che, se un dirigente viene posto in quiescenza o viene trasferito alla direzione di un’altra struttura o, addirittura, viene trasferito presso un’altra amministrazione, non può essere chiamato a formalizzare una valutazione relativamente al personale di una struttura di cui non è più titolare; in questi casi opererebbe senza averne formalmente titolo.
Il Sistema di misurazione e valutazione deve disciplinare le eventuali situazioni in cui, per l’asimmetria temporale delle valutazioni rispetto al periodo di riferimento della medesima, il valutatore sia in una posizione di conflitto che rende necessario prevedere meccanismi correttivi all’ordinaria modalità di individuazione del titolare del potere valutativo; si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui un dirigente generale di un ente, in cui le posizione dirigenziali siano articolate su due livelli gerarchici, nel periodo di riferimento della valutazione rivestiva un ruolo di direzione non generale della medesima struttura, per cui, secondo le regole ordinarie, avrebbe dovuto auto-valutarsi: ovviamente tale azione è da escludersi, per l’evidente ragione della sussistenza di una chiara posizione di conflitto d’interessi.
Come si è già visto, quindi, non è possibile escludere dalla valutazione categorie specifiche di dipendenti in relazione ai compiti assegnati ed al ruolo assunto nell’organizzazione. Le finalità della valutazione sono talmente ampie che un’eventuale esclusione porrebbe gli esclusi in una posizione di potenziale svantaggio rispetto al restante personale: si pensi, a tal riguardo, alla rilevanza della valutazione ai fini delle progressioni economiche o per il conferimento di incarichi di responsabilità.

La valutazione deve essere prevista per tutti i dipendenti
Destinatario della valutazione è tutto il personale dipendente, a tempo determinato e indeterminato, che ha operato per un periodo sufficiente a garantire una partecipazione attiva al raggiungimento degli obiettivi della struttura di assegnazione e degli obiettivi individuali. Il sistema di misurazione e valutazione della performance può stabilire un periodo minimo nell’ambito del quale la prestazione lavorativa deve svilupparsi affinché si possa accedere alla valutazione finale, fermo restando i prerequisiti fondamentali.
Occorre, poi, disciplinare anche le modalità di valutazione di particolari categorie di personale che operano in posizione di comando o che siano destinati ad altri enti in posizione di distacco, nell’interesse precipuo dell’ente nei cui ruoli si trova organicamente collocato il dipendente. Entrambe le situazioni configurano posizioni di mobilità temporanea in entrata o in uscita, rispetto alle quali si pone, comunque, il problema della valutazione della performance individuale.
Infine il sistema di misurazione e valutazione deve disciplinare specifici eventi che possono verificarsi nel corso di un periodo e in grado di incidere sui contenuti, oltre che sul processo valutativo (mobilità interna inter-direzionale, periodi limitati di incarichi dirigenziali, assenze dal servizio per periodi tali da determinare una oggettiva impossibilità di valutazione della prestazione e dei comportamenti professionali).

La differenziazione dei giudizi

Uno degli ambiti di valutazione della performance individuale dei dirigenti è rappresentato dalla “capacità di valutazione dei propri collaboratori, dimostrata tramite una significativa differenziazione dei giudizi” (art. 9, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 150/2009). All’OIV è assegnato il compito di garantire “la correttezza dei processi di misurazione e valutazione con particolare riferimento alla significativa differenziazione dei giudizi di cui all'articolo 9, comma 1, lettera d).” (articolo 14, comma 4, lettera d), Dlgs n. 150/2009), per cui tale organo dovrà prestare molta attenzione nell’esprimere il parere  preventivo e vincolante sul sistema di misurazione e valutazione.
L’articolo 19 del Dlgs 150/2009 affida, inoltre, alla contrattazione collettiva, il compito di fissare i “criteri idonei a garantire che alla significativa differenziazione dei giudizi di cui all'articolo 9, comma 1, lettera d), corrisponda un'effettiva diversificazione dei trattamenti economici correlati.”.
Le uniche indicazioni che, nel tempo, sono state fornite in materia, risalgono alla delibera Civit/Anac n. 114/2010, “Indicazioni applicative ai fini della adozione del Sistema di misurazione e valutazione della performance (articolo 30, comma 3, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150)”; a pag. 11 della citata delibera, infatti, è scritto: “La capacità di differenziare i giudizi è un aspetto molto importante soprattutto alla luce delle pratiche riscontrate in gran parte delle amministrazioni. Per misurare questa capacità, si propone l’adozione di indicatori quantitativi. Si possono, ad esempio, utilizzare indici statistici di variabilità, quali la varianza oppure lo scarto quadratico medio rispetto alla media dei giudizi di tutti i collaboratori valutati nel periodo di riferimento.”.
Le linee guida del Dipartimento della funzione pubblica n. 2 del 29.12.2017, “Linee guida per il Sistema di Misurazione e Valutazione della performance”, confermano che la differenziazione delle valutazioni costituisce una condizione di efficacia di tutto il sistema di misurazione e valutazione della performance, nonché un obbligo esplicitamente sancito a carico di tutti i valutatori dal Dlgs n. 150/2009. 
Il sistema di misurazione e valutazione deve prevedere quale debba essere l’incidenza della capacità di differenziazione sulla valutazione individuale dei dirigenti. A tal proposito è possibile che l’incidenza abbia un suo peso autonomo sulla valutazione complessiva, che si suggerisce venga compresa nel range tra il 5 e il 10% in relazione alla necessità, avvertita sulla base al contesto interno e della storia del sistema valutativo, di orientare i giudizi finali verso una differenzazione più o meno elevata. Un’incidenza inferiore al 5% la renderebbe poco significativa e, quindi, non rispondente al dettato normativo, mentre una percentuale superiore caratterizzerebbe eccessivamente la valutazione individuale, con un depotenziamento degli altri ambiti valutativi e con l’amplificazione degli effetti negativi della differenziazione.
In alternativa, peraltro, è possibile prevedere la differenziazione come elemento di dettaglio dei comportamenti professionali e organizzativi. In entrambe le ipotesi, poi, la capacità di differenziazione potrà essere valutata con l’utilizzo dello strumento della scarto quadratico medio, con le opportune modifiche applicative necessarie per tenere conto di specifiche situazioni di contesto.
Il sistema deve, inoltre, prevedere il numero minimo di dipendenti al di sopra dei quali la capacità di differenziazione della valutazione si potrà applicare; ciò discende dal fatto che, con una numerosità bassa di dipendenti, la possibilità di differenziare in modo significativo rilevabile dallo scarto quadratico medio si riduce, con la conseguenza di amplificare l’effetto di un eventuale utilizzo distorsivo della capacità di differenziazione. Nel caso di non applicabilità dello scarto quadratico medio, infine, il SMiVaP dovrà prevedere le modalità di riparto del relativo peso sugli altri ambiti valutativi.

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