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Centri impiego, in Sicilia gli addetti sono il triplo con metà competenze

In Sicilia la lotta alla disoccupazione si fa anche assumendo i senza lavoro nei centri per l’impiego: sono 1.824 gli assunti a tempo indeterminato, un organico pari a tre volte quello della Lombardia (610) o del Lazio (603). Circa il 40% degli operatori siciliani hanno il profilo di inquadramento più basso, sono stati inseriti nell’amministrazione regionale nel 1996 come Lsu eppoi stabilizzati, e non possono erogare servizi diretti agli utenti, né possono firmare i patti di servizio (per evitare il contenzioso): dunque, meno della metà degli operatori sono disponibili per funzioni effettive. Chi varca la soglia di un Cpi siciliano lo fa per adempiere a procedure burocratiche - come in quasi tutto il Centro e il Sud - non si attende l’offerta di un posto di lavoro.

Il sistema di Cpi conta su 3.895 dipendenti al Sud, 2.368 al Nord e 1.607 al Centro: «considerando che le eccellenze si trovano in prevalenza al Nord o nel Centro-Nord, si capisce come per la dotazione organica vi sia un problema quantitativo, ma soprattutto qualitativo», fa notare Eugenio Gotti (Noviter). Per far sì che il reddito di cittadinanza non si configuri come una misura puramente assistenziale, i centri per l’impiego dovranno proporre delle opportunità di lavoro, serve una grande operazione di digitalizzazione e di riconversione professionale degli 8mila dipendenti. Un sostegno è arrivato nei giorni scorsi dall’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina: «siamo pronti a supportare i centri per l’impiego con una proposta formativa», utilizzando il know-how che è servito per formare i bancari, con la disponibilità ad offrire delle borse di studio per chi parteciperà alla formazione attraverso i Cpi. «I centri per l’impiego non devono diventare solo un ente erogatore di assistenza - spiega l’assessore alle politiche del Lavoro del Lazio, Claudio Di Berardino -, vanno rafforzati per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, per sviluppare le politiche attive. Bisogna informatizzare il sistema, ci vorrà del tempo, pensare di riorganizzare i Cpi in tre mesi mi sembra un azzardo».

Il riferimento è all’obiettivo rilanciato ieri dal vicepremier, Luigi Di Maio, di far partire il reddito di cittadinanza nel primo trimestre 2019, utilizzando il periodo precedente per riformare i Cpi. Di Maio ha spiegato agli assessori regionali che la dote di 1 miliardo per la riforma dei Cpi (in aggiunta ai 9 miliardi per il reddito di cittadinanza) sarà strutturale, e che un software unico incrocerà le banche dati che oggi non dialogano tra loro. Nel documento di bilancio inviato a Bruxelles emergono due novità: il requisito di 5 anni di residenza in Italia per ottenere il reddito cittadinanza e l’obiettivo al 2020 di ridurre di 2,2 milioni il numero di poveri.

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