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Nella reiterazione abusiva di contratti a termine il danno è predeterminato e va liquidato una volta sola

di Andrea Alberto Moramarco

In caso di reiterazione abusiva di contratti a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione, il pregiudizio economico oggetto di risarcimento non può essere collegato alla mancata conversione del rapporto, ma è correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile. Per tale motivo è previsto un risarcimento predeterminato tra un minimo e un massimo, che esonera il lavoratore dall'onere della prova. A ribadire tale regola è la Cassazione con l'ordinanza 31174, depositata ieri, con la quale i giudici di legittimità hanno altresì precisato che il danno così quantificato va liquidato una sola volta non in relazione ai singoli contratti, bensì dal momento e per l'effetto della loro successione.

Il caso

La controversia trae origine dalla domanda con la quale un lavoratore, dopo ben sette contratti a tempo determinato stipulati con il Consorzio autostrade siciliane, citava in giudizio l'ente pubblico per ottenere il risarcimento del danno derivante dall'abuso della reiterazione dei contratti a termine. Dopo che il Tribunale aveva negato il risarcimento, la Corte d'appello accoglieva la domanda e condannava il Consorzio a pagare in favore dell'ex dipendente sei mensilità dall'ultima retribuzione globale di fatto, sottolineando come «il danno risarcibile nel pubblico impiego non era quello derivante dalla mancata conversione del rapporto di lavoro e che in caso di abuso derivante dalla successione di contratti a termine era misura dissuasiva e di tutela del lavoratore quella indennitaria prevista dall'articolo 32 comma 5 della legge 183/2010» (Collegato lavoro).
Il lavoratore, però, non contento della liquidazione ottenuta, ricorreva in Cassazione lamentandosi, in sostanza, della mancanza di equivalenza nella tutela garantita in caso di abuso del contratto a termine tra lavoratori pubblici e privati, nonché dei criteri di calcolo della liquidazione dell'indennità, che avrebbe dovuto essere quantificata in relazione a ciascuno dei contratti a termine.

La decisione

I giudici di legittimità non condividono però le tesi del lavoratore e confermano la bontà della decisione di merito. La Cassazione coglie l'occasione poi per ribadire i principi già affermati dalle Sezioni unite (sent. 5072/2016), che continuano ad essere validi anche dopo la pronuncia della Corte di giustizia dell'unione europea (sent. 7 marzo 2018 Causa C 494/2016). Ebbene, afferma il Collegio è pacifico che, in ossequio all'Accordo quadro sui contratti a tempo determinato recepito nella direttiva 1999/70/CE, in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di un'amministrazione pubblica, il dipendente, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato di cui all'articolo 36 comma 5 del Dlgs 165/2001 (testo unico sul pubblico impiego), ha diritto al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall'onere probatorio.
L'entità di tale risarcimento, inoltre, prosegue la Corte, è predeterminata nella misura e nei limiti previsi dall'articolo 32 comma 5 della legge 183/2010, ovvero in un'indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. Quanto invece alla modalità della sua liquidazione, per la Cassazione il danno comunitario presunto nel settore pubblico «non è quello derivante dalla nullità del termine del contratto di lavoro ma è quello conseguente all'abuso per l'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato». L'illecito, cioè, si consuma «non in relazione ai singoli contratti a termine ma soltanto dal momento e per effetto della loro successione», ragion per cui il danno presunto dovrà essere calcolato una sola volta.

L’ordinanza della Corte di cassazione n. 31174/2018

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