Personale

Niente reintegra se il mancato superamento del periodo di prova è stato dichiarato dall’organo incompetente

di Vincenzo Giannotti

In mancanza di una definizione di dettaglio nel regolamento degli uffici circa l'organo competente a dichiarare il mancato superamento del periodo di prova del dipendente pubblico, non è ammissibile che sia l'organo esecutivo ad adottare quel provvedimento, in considerazione della distinzione tra attività di indirizzo politico e gestionale. Tuttavia, l'eventuale accertamento giudiziale della dichiarazione di incompetenza, a differenza del licenziamento, non consente al dipendente pubblico estromesso di poter essere reintegrato, in assenza di finalità discriminatorie o illecite. Questo il preciso indirizzo della Corte di cassazione contenuto nella sentenza n. 31091/2018.

La vicenda
Al dipendente di un ente locale veniva comunicato dalla giunta comunale il mancato superamento del periodo di prova con relativa interruzione del rapporto di lavoro. Il Tribunale di primo grado e, successivamente, la Corte d’appello hanno rigettato il ricorso del dipendente teso a evidenziare l’illegittimità del provvedimento espulsivo emesso da organo incompetente, dato il divieto degli organi di indirizzo politico di emettere atti gestionali di esclusiva competenza dirigenziale. A supporto della loro decisione, i giudici aditi hanno evidenziato come, in assenza di disposizioni regolamentari, o di altra fonte, che individui a priori il dirigente competente a risolvere il rapporto di lavoro del dipendente, il Comune non poteva affidare ad altri dirigenti l'adozione dell'atto risolutivo del rapporto ostando il principio secondo cui l'assenza del soggetto competente all'adozione di un atto non ne legittima l'emanazione da parte di un diverso componente dell'amministrazione (tra le tante Cassazione, sentenze nn. 20981/2009 e 2168/2004). Nel merito la Corte d’appello ha proceduto, con esito positivo, alla verifica della conformità delle funzioni assegnate e delle motivazioni conseguenti all'esito sfavorevole dell'esperimento lavorativo.

Le precisazioni della Cassazione
A differenza di quanto detto dalla Corte d’appello, il principio di separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo - spettanti agli organi di governo - e funzioni di gestione amministrativa - proprie dei dirigenti - trova fondamento nella Costituzione, tanto che è stato precisato, in diverse occasioni, l'illegittimità delle attività di gestione eventualmente intestate agli organi politici. Vero è che spetta al legislatore l'individuazione dell'esatta linea di demarcazione tra gli atti da ricondurre alle funzioni dell'organo politico e quelli di competenza della dirigenza amministrativa, ma è altrettanto vero che il legislatore non può compiere scelte che, contrastando in modo irragionevole con il principio di separazione tra politica e amministrazione, ledano l'imparzialità della pubblica amministrazione (Corte costituzionale n. 81 del 2013).
Nel caso di specie la Corte d’appello ha errato nell'attribuire la competenza alla giunta comunale, pur in assenza di specifiche disposizioni all'interno del regolamento degli uffici e dei servizi, dimenticando come il punto fondamentale di raccordo sia la figura del segretario comunale. Quest'ultimo, oltre a svolgere compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente, in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto e ai regolamenti (articolo 97, comma 2), sovrintende anche allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività.
Il ricorso del dipendente, pertanto, deve essere accolto in quanto l'atto, con il quale la giunta municipale ha inteso risolvere il rapporto di lavoro, è inefficace perché adottato da un organo di governo del Comune privo, in quanto tale, dei poteri di gestione del rapporto stesso. Tuttavia, a differenza del licenziamento, l'inefficacia dell'atto di recesso adottato da organo incompetente non permette la ricostituzione del rapporto, ovvero la sua conversione o trasformazione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

La sentenza della Corte di cassazione n. 31091/2018

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