Personale

La mancata istituzione della vicedirigenza non dà diritto al risarcimento del danno

di Andrea Alberto Moramarco

Nell'ambito del pubblico impiego, l'omessa istituzione da parte della contrattazione collettiva della categoria della vicedirigenza non determina la violazione di alcun interesse dei dipendenti tutelabile in forma risarcitoria. Ciò vale anche dopo l'abrogazione della norma che prevedeva la qualifica demandandone l'istituzione alla contrattazione collettiva. È quanto emerge dalla sentenza n. 32697 della Sezione lavoro della Cassazione, depositata ieri.

La vicenda
La controversia prende le mosse dalla richiesta di alcuni dipendenti dell'Agenzia delle Entrate, volta a ottenere il riconoscimento della qualifica di vicedirigente, come previsto dall'articolo 17-bis del Dlgs 165/2001, norma oggi abrogata dal Dl 95/2012 (Spending review bis). In sostanza, la norma prevedeva l'istituzione di un'apposita area della vicedirigenza, che comprendeva il personale laureato appartenente alle posizioni C2 e C3 con cinque anni di anzianità in dette posizioni o nelle corrispondenti qualifiche VIII e IX del precedente ordinamento. I dipendenti pubblici, in possesso di questo requisito, rivendicavano così la qualifica prevista dalla legge, ma sia il Tribunale che la Corte d'appello hanno negato loro il diritto richiamando l'articolo 8 della legge 15/2009 (Riforma Brunetta) che forniva l'interpretazione autentica dell'articolo 17-bis del Dlgs 165/2001, da cui si desumeva che il compito di istituire la vicedirigenza era rimesso alla contrattazione collettiva. Di conseguenza, in assenza di una disciplina negoziale, non poteva sorgere nei confronti dei lavoratori alcun diritto, nonostante la sussistenza del presupposto previsto dalla legge, essendo invece «indispensabile l'intervento della disciplina negoziale ad opera delle parti sociali».

La decisione
La questione è arrivata così in Cassazione, dove i dipendenti del Fisco hanno sottolineato l'irrilevanza della mancanza di una disciplina contrattuale integrativa, derivando il diritto alla qualifica di vicedirigente direttamente dalla legge, nonché deducono la stessa illegittimità della norma abrogativa, che fondava una loro pretesa risarcitoria.
Per la Corte, tuttavia, il verdetto di merito è corretto.
I giudici di legittimità hanno ricostruito, in primo luogo, la vicenda normativa della qualifica della vicedirigenza, dall’introduzione sino all’abrogazione passando per l’interpretazione autentica, e hanno sottolineato come la stessa qualifica, per la sua applicazione, presupponeva l'istituzione della categoria da parte della contrattazione collettiva. L'articolo 17-bis del Dlgs 165/2001, pertanto, non era norma autoapplicativa, ma necessitava di una mediazione della contrattazione collettiva, che di fatto non era mai avvenuta.
In secondo luogo, quanto all'intervento abrogativo, il Collegio richiama la decisione della Corte costituzionale (sentenza n. 214/2016) che lo ha ritenuto legittimo perché si è trattato di un provvedimento mirante a conseguire una riduzione di spesa delle amministrazioni pubbliche, adottato in condizioni di necessità e urgenza in un momento di grave crisi finanziaria e volto a garantire la stabilizzazione della finanza pubblica. Ciò posto, afferma la Cassazione, i dipendenti del Fisco non possono vantare alcuna pretesa risarcitoria causata dall'abrogazione della qualifica, per altro non ancora istituita dalla contrattazione collettiva. Gli stessi lavoratori non avevano maturato alcun diritto in merito, ma soltanto un interesse strumentale a che l'Aran adottasse il provvedimento amministrativo che doveva procedere la fase della contrattazione collettiva. Ciò non è però sufficiente a fondare una pretesa risarcitoria, non configurandosi alcuna posizione tutelabile in forma risarcitoria.

La sentenza della Corte di cassazione n. 32697/2018

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