Personale

Procedimento disciplinare, il capo della polizia vigila sulla legittimità di ogni fase

di Ulderico Izzo

In tema di sanzioni disciplinari a carico di appartenenti alla polizia di Stato, il capo è competente a verificare in autotutela la legittimità di ogni fase del procedimento, compresa la deliberazione della commissione disciplinare, fermo restando che la predetta autorità non può invece intervenire (se non a favore dell'incolpato) sul merito della sanzione proposta dall'organo consultivo. Questo è il principo espresso dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 7093/2018.

Il fatto
Un appartenente alla polizia di stato è stato sospeso in via cautelare dal servizio per effetto di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere per concorso in riciclaggio. Successivamente l'ordinanza è stata annullata e il procedimento penale è stato archiviato. La commissione di disciplina ha iniziato l'azione disciplinare nei confronti del poliziotto e ha proposto che nei confronti dell'interessato fosse adottata la sanzione disciplinare della sospensione dall'impiego per mesi sei. Il ministero dell'Interno, dipartimento della pubblica sicurezza, ha ritenuto l'atto viziato e lo ha annullato, ha inoltre disposto la prosecuzione del procedimento disciplinare, che è sfociato nella destituzione del poliziotto.
Il Tar Campania, adito in primo grado dal poliziotto, ha ritenuto legittimo il provvedimento della destituzione, e la sentenza ha trovato conferma anche dinanzi al Consiglio di Stato.

La decisione
L'aspetto peculiare della controversia riguarda la possibilità, o meno, del capo della polizia di verificare il corretto espletamento delle diverse fasi del procedimento disciplinare.
Il Consiglio di Stato ritiene che per consolidata giurisprudenza, l'attribuzione al capo della polizia del potere di irrogare sanzioni disciplinari comprende, necessariamente, quello di controllare la regolarità delle diverse fasi nelle quali si articola il relativo procedimento, al fine di evitare che eventuali vizi procedimentali si riverberino sull'atto finale con effetti invalidanti. Ove si ritenesse il contrario, affidare cioè all'organo titolare del potere disciplinare una mera funzione di presa d'atto, salva la potestà di derubricazione, significherebbe vincolare l'espressione del potere stesso a un procedimento anche patentemente irregolare, senza possibilità di disporre il riesame. Questa conclusione configge, all'evidenza, con i canoni di buona amministrazione e di efficienza dell'Amministrazione.
Il potere di riesame, necessariamente inerente alla funzione attribuita al capo della polizia, attiene al rispetto della regolarità degli adempimenti procedurali, mentre il divieto di «reformatio in peius» inerisce al diverso ambito del merito dell'apprezzamento demandato all'organo consultivo. Secondo il Consiglio di Stato, il Tar ha erroneamente ritenuto che questo potere di annullamento della proposta del consiglio di disciplina di disporre il riesame del caso presupponga necessariamente un rapporto gerarchico tra capo della polizia e consiglio di disciplina, che non esiste.
Il provvedimento impugnato è frutto di un procedimento che, nelle sue fasi, ha visto il dispiegarsi di poteri di controllo legittimamente esercitati, in quanto inerenti alla stessa funzione di amministrazione attiva.
La sentenza è di pregio giuridico perché l'autorità di vertice, ovvero, il Capo della Polizia, può legittimamente esercitare un controllo di legittimità sulle diverse fasi del procedimento disciplinare, fermo restando che può invece intervenire sul merito del deliberato della commissione disciplinare solo a favore del dipendente.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 7093/2018

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