Personale

Niente aspettativa retribuita al dipendente pubblico durante la proroga del dottorato di ricerca

di Paola Rossi

Il dipendente pubblico, in aspettativa retribuita per il conseguimento del dottorato privo di borsa di studio, non può pretendere di percepire lo stipendio anche per il periodo di proroga eventualmente concesso al fine del completamento del percorso universitario. La Corte di cassazione con la sentenza n. 432 di ieri ha dato ragione al Comune di Torino che - allo scadere del termine normale del dottorato - aveva interrotto la retribuzione e sanzionato il dipendente che non aveva ripreso il servizio perché era stato autorizzato dal collegio dei docenti del Politecnico a prorogare per un anno la formazione didattico formativa. Quindi l'ente locale negando per il periodo di proroga il beneficio, previsto dall'articolo 2 della legge 476/1984, ha correttamente interpretato la norma che mira a contemperare il diritto allo studio con il buon andamento della pubblica amministrazione.

La possibilità che ha l'Ateneo di concedere un anno di proroga non modifica il rapporto tra dipendente pubblico e l'amministrazione di appartenenza tenuta a erogargli la retribuzione 'per il periodo di durata del corso'. Infatti, tale ultima espressione - come ci chiarisce oggi la Cassazione - va riferita alla previsione della durata astratta del corso e non al periodo di proroga legato a esigenze individuali e concesso al singolo dottorando. Sarebbe - come dicono Comune e Cassazione - come far arretrare le esigenze della Pa davanti a percorsi e motivazioni personali del dipendente pubblico. Il 'ritardo' in cui incorre il dottorando verrebbe a determinare la distrazione di risorse destinate al fine pubblico a favore di esigenze del singolo legate a un lasso di tempo non più coperto dalla tutela del diritto allo studio.

La Cassazione interpreta la norma che riconosce l'aspettativa retribuita per motivi di studio anche alla luce dei regolamenti ministeriali applicativi e sconfessa l'affermazione della Corte di Appello secondo la quale il Comune avrebbe potuto per esigenze amministrative negare il beneficio che una volta concesso non poteva che estendersi a tutto il periodo del dottorato. Infatti, la modifica dell'articolo 2 della legge dell'84 che inserisce l'inciso 'compatibilmente con le esigenze dell'amministrazione' è del 2010, successiva alla vicenda. Per cui non è vero che il Comune aveva potuto esercitare la propria scelta discrezionale a fronte della domanda del dipendente. Domanda che, all'epoca, si configurava come vero e proprio esercizio di un diritto soggettivo incensurabile dalla Pa.

La sentenza della Corte di cassazione civile n. 432/2019

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