Personale

L'assoluzione piena del dipendente pubblico non basta da sola per il rimborso delle spese legali

di Vincenzo Giannotti

La costituzione dell'ente come parte civile e la tipologia di reato contestato contrario ai doveri d’ufficio possono essere rilevanti per escludere il rimborso delle spese legali sostenute per la difesa del dipendente pubblico, perché da sola sufficiente l'assoluzione piena non è sufficiente. Queste in sintesi le conclusioni della Corte di cassazione (sentenza n. 2475/2019).

I fatti
La vicenda riguarda l'assoluzione piena, disposta dal giudice penale, per il reato di corruzione e con costituzione di parte civile da parte dell'ente. Pur riguardando un amministratore regionale, la disciplina applicabile, per espressa previsione delle legge regionale, è quella dei dipendenti delle amministrazioni statali (articolo 18, comma 1, del Dl 67/1997). La richiesta di rimborso delle spese legali sostenute da parte dell'amministratore ha fatto seguito alla piena assoluzione del dipendente ma con rifiuto da parte dell'ente.
Il Tribunale di primo grado ha confermato la non rimborsabilità delle spese legali, in considerazione del conflitto di interessi reso evidente dalla costituzione di parte civile dell'ente. Sula stessa linea la sentenza della Corte d’appello che, nonostante la piena formula assolutoria dai reati ascritti, ha ritenuto che il reato di corruzione non potesse avere alcun riferimento diretto a un espletamento di un servizio o all'assolvimento di obblighi istituzionali. Infatti, il reato di corruzione è di per sé sufficiente a ritenere che si versasse in una condotta contraria ai doveri d'ufficio, di qui il conflitto di interessi con l'ente di appartenenza che esclude la rimborsabilità delle spese.
Il ricorso in Cassazione è stato motivato per una non corretta interpretazione, a dire dell'amministratore regionale, della normativa sul conflitto di interessi, dove l'assoluzione piena nel giudizio penale ne cancella sin dall'origine gli effetti, a nulla rilevando la costituzione di parte civile dell'ente. Se ciò non fosse vero le funzioni del dipendente verrebbero incise sin dall'inizio a prescindere dall'esito del procedimento penale.

Le precisazioni della Cassazione
Secondo i giudici di legittimità il rimborso delle spese legali, reclamate dal dipendente all'ente di appartenenza, devono obbligatoriamente trovare la loro causa in un interesse della pubblica amministrazione. Questo interesse si realizza solo qualora sussista un legame inscindibile con l'attività espletata dal dipendente pubblico e un fine pubblico della funzione svolta. Questo principio implica, pertanto, che ci sia un nesso di strumentalità tra l'adempimento del dovere e il compimento dell'atto, nel senso che il dipendente non avrebbe assolto i suoi compiti se non compiendo quel fatto o quell'atto. In conclusione, se l'accusa è quella di aver commesso un reato che contempli l'ente locale come parte offesa (e, quindi, in oggettiva situazione di conflitto di interessi), il diritto al rimborso non sorge affatto, escludendo dunque che esso emerga solo nel momento in cui il dipendente sia stato, in ipotesi, assolto dall'accusa. Anche a voler escludere la costituzione di parte civile dell'ente, il rimborso delle spese è stato negato in quanto l'imputazione penale ha riguardato fatti di grave violazione dei doveri d'ufficio - delitto di corruzione – che avrebbero potuto, qualora accertati positivamente, legittimare l'ente a chiedere il risarcimento dei danni al dipendente. L'assoluzione piena ha, invece, impedito che l'ente potesse reclamare un risarcimento, non potendo in questo caso il dipendente chiedere anche il rimborso delle spese sopportate in presenza di questi interessi contrapposti.

La sentenza della Corte di cassazione n. 2475/2019

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