Personale

Il giudizio negativo espresso in una scheda valutativa non è mobbing

di Gianni La Banca

All’interno del novero delle condotte mobbizzanti, non rientrano atti gestionali e amministrativi negativi per il dipendente, quali la redazione di una scheda valutativa che contiene giudizi peggiorativi rispetto allo stato di servizio precedente. Così ha affermato il Tar Lazio, Sezione I Bis, con la sentenza n. 3587/2019.

I fatti di causa
Un Appuntato dei Carabinieri chiedeva l’accertamento della responsabilità dell’Amministrazione per il comportamento di mobbing posto in essere in suo danno, lamentando l’esistenza di una condotta gravemente vessatoria e persecutoria, posta in essere dal Maresciallo Capo, suo superiore gerarchico, caratterizzata da un susseguirsi di molteplici comportamenti vessatori e atteggiamenti di carattere ostruzionistico e oppressivo, che gli avrebbe causato depressione e stress.
Tra tali comportamenti, il Maresciallo Capo, tra l’altro, avrebbe redatto una scheda valutativa del tutto negativa, in cui ha attribuito un giudizio insoddisfacente e peggiorativo delle note caratteriali precedenti e dello stato di servizio.

La ratio della previsione normativa
Ai fini della configurabilità del mobbing, devono sussistere plurimi elementi, di natura sia oggettiva che soggettiva, la cui prova compete al prestatore di lavoro.Nello specifico:
a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo;
b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;
d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.
Un singolo atto illegittimo o anche più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé soli, sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante; senza considerare la rilevanza della peculiarità dell’ambiente di lavoro e, soprattutto, della realtà particolare delle Amministrazioni militari o gerarchicamente organizzate.

L’irrilevanza di atti amministrativi negativi
Non possono rilevare, in tale ottica, episodi che, tutt'al più, riflettono un problematico rapporto personale con il superiore in questione, anche se si potrebbe trattare, in linea teorica, di accadimenti che, tenendo conto del contesto fortemente gerarchizzato delle forze dell’ordine, potrebbero non essere in linea con le disposizioni inerenti alla disciplina militare nel rapporto con gli inferiori di grado, ma non assurgono a integrare la fattispecie del mobbing.
In particolare, per quanto riguarda gli atti di gestione del rapporto di lavoro di natura amministrativa, la scheda valutativa, che attribuisce al ricorrente un giudizio negativo e peggiorativo rispetto a quello degli anni precedenti, non può assurgere a dimostrazione dell’esistenza del mobbing.
In effetti, i giudizi analitici contenuti nei rapporti informativi sono espressione di ampia discrezionalità e possono variare di anno in anno senza che da tale circostanza possa desumersi un'illegittimità nelle valutazioni effettuate per il solo fatto che le stesse siano peggiorative rispetto al periodo precedente e ciò soprattutto con riferimento alle qualità professionali che ben possono essere collegate al diverso rendimento sul servizio svolto dal militare.
Ciò, soprattutto qualora il percorso professionale non pare impeccabile quanto alle valutazioni riportate, non sempre lusinghiere e, pertanto, in tale contesto ben può inquadrarsi, senza che si evidenzino profili di abnormità, la valutazione riportata nella scheda valutativa in questione.
Senza considerare che la scheda valutativa non è stata impugnata e, pertanto la sua legittimità non può essere messa in discussione.

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