Personale

Dirigenti, incostituzionale la norma regionale che cambia retroattivamente il calcolo del Tfr

di Katia Sirizzotti

Il legislatore regionale non può alterare con effetto retroattivo le modalità di determinazione dell’indennità di buonuscita dei dirigenti, in contrasto con le disposizioni nazionali e le stesse regionali previgenti, tra l’altro alterando l’esito di un giudizio in corso.  Così ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza n. 174/2019.
Le modalità di computo di detta indennità sono determinate dall’articolo 19, Dlgs 165/2001, (che indica nell’ultimo stipendio il parametro utile per la determinazione del trattamento di fine servizio dei dirigenti) le cui disposizioni, ai sensi dell’art. 1, terzo comma stesso decreto, “costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione.”
Una disposizione con effetto retroattivo (possibile solo in ambito diverso dal penale), come già chiarito dal Giudice delle Leggi, deve trovare «adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata» (sentenza n. 73/2017).
I limiti posti alle leggi con efficacia retroattiva si correlano alla salvaguardia dei princìpi costituzionali dell’eguaglianza e della ragionevolezza, alla tutela del legittimo affidamento, alla coerenza e alla certezza dell’ordinamento giuridico, al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (Corte Cost., sentenza n. 170/2013, punto 4.3. del Considerato in diritto).

La vicenda
Alcuni dirigenti della Regione Friuli-Venezia Giulia hanno chiesto di vedere accertato il loro diritto alla (ri)liquidazione della indennità di buonuscita commisurata anche al servizio prestato con contratto a tempo determinato di diritto privato e in base all’ultima retribuzione percepita, ai sensi dell’art. 19, Dlgs 65/2001.
La domanda è stata respinta in primo grado in ragione delle previsioni della Lr Friuli-Venezia Giulia n. 33/2015 (di interpretazione autentica) che ai commi 28, 29 e 30 dell’articolo 7 esclude, con effetto retroattivo, nella determinazione del servizio utile ai fini della liquidazione dell’indennità di buonuscita, il servizio prestato con rapporto di lavoro a tempo determinato di diritto privato.
Il giudice d’appello, invocato dai dirigenti soccombenti in primo grado, ha dubitato della legittimità costituzionale della indicata disciplina regionale sotto molteplici profili, tutti ampiamente condivisibili. Tra gli altri, in particolare, il remittente ha enfatizzato l’effetto di tali disposizioni retroattive, in ragione delle quali i dirigenti appellanti avrebbero subito, senza alcuna ragione giustificatrice, un trattamento deteriore rispetto ai colleghi di ruolo, in deroga alla disciplina dell’indennità di buonuscita applicabile al restante personale dirigenziale regionale; il contrasto con «i principi del legittimo affidamento e della certezza del diritto in relazione alla stabilità del trattamento previdenziale» e, ancora, che in vista di un modesto contenimento della spesa, le disposizioni censurate interverrebbero, «a distanza di oltre trentacinque anni», a interpretare una normativa dal significato inequivocabile.
La questione è stata tuttavia risolta dal Giudice delle Leggi sulla base di una sola motivazione, assorbite le altre.
La Corte Costituzionale ha dato particolare rilevo alla circostanza per cui alle previsioni censurate sia stata riconosciuta efficacia retroattiva, trovando applicazione in fattispecie già perfezionate.
In ambito civile il legislatore è libero di emanare disposizioni retroattive purchè “vi sia adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e, segnatamente, risulti la valutazione ed il bilanciamento tra le ragioni che ne motivano la previsione e i valori costituzionalmente tutelati potenzialmente lesi dall’efficacia retroattiva della norma”.
Nel caso di specie tale valutazione non è stata condotta. Anzi, risulta agli atti dei lavori dell’Assemblea Regionale come detta misura normativa sia stata adottata principalmente con lo scopo di incidere sull’esito di questo giudizio mentre i riferimenti alle esigenze di tutela dell’equilibrio del bilancio appaiono del tutto generici. Rileva la Corte come la disciplina al vaglio coinvolga un numero esiguo e agevolmente individuabile di parti mentre i risparmi di spesa che ne deriverebbero non sono apprezzabili. In ordine alla dichiarata esigenza di intervenire per l’interpretazione autentica, il Giudice osserva come nel caso di specie non vi fosse alcuna effettiva esigenza in tal senso essendo la norma interpretata estremamente chiara oltrechè molto antica (del 1981 e non aveva mai presentato problemi interpretativi).
Riportandosi alla sua giurisprudenza la Corte Costituzionale ha ribadito come una norma che disponga per l’efficacia retroattiva debba essere sorretta da motivi imperativi di interesse generale, orientati a finalità di ampio respiro (Corte Cost., sentenze n. 127/2015 e n. 1/2011) e debba essere la risultanza di «una valutazione sistematica di profili costituzionali, politici, economici, amministrativi e sociali» (Corte Cost., sentenza n. 311/2009) che conducano ad individuare «un punto di equilibrio nella dialettica tra i valori in gioco» (Corte Cost., sentenza n. 127/2015).
In tal senso anche la giurisprudenza europea.
Mancando i motivi imperativi di interesse generale, quando il fine evidente è quello di influenzare la soluzione di una controversia, i princìpi di preminenza del diritto e la nozione di giusto processo precludono l’utilizzo di disposizioni retroattive. E, comunque, i motivi finanziari non bastano da soli a giustificare un intervento legislativo destinato a ripercuotersi sui giudizi in corso.
Nella fattispecie il Giudice delle Leggi ha ritenuto che le previsioni al vaglio, benchè presentate come enunciazione di una regola astratta, si rivolgessero in realtà a una platea circoscritta di destinatari essendo inequivocabilmente preordinate a definire l’esito di uno specifico giudizio.
Ne è conseguita, pertanto, la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’articolo 7, commi 28, 29 e 30, Lr Friuli-Venezia Giulia n. 33/2015, in riferimento agli artt. 111 e 117, comma 1, Costituzione, quest’ultimo in relazione all’articolo 6 CEDU.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©