Personale

Il patteggiamento legittima il licenziamento disciplinare

di Michele Nico

Ai fini della responsabilità disciplinare e del conseguente licenziamento intimato al dipendente pubblico, la sentenza di patteggiamento divenuta irrevocabile equivale a una pronuncia di condanna. Sulla base di questo principio la Corte di cassazione sezione lavoro, con la sentenza n. 20721/2019 ha rigettato il ricorso del tecnico di un Comune, addetto al settore lavori pubblici, contro la decisione del Tribunale che aveva respinto l'impugnativa del licenziamento disciplinare intimato al dipendente, quale conseguenza della sentenza penale di patteggiamento per i reati di turbativa d'asta e corruzione pronunciata dal medesimo Tribunale, in sede penale.
La Corte d'Appello adita dal tecnico comunale aveva respinto il gravame avverso la sentenza di primo grado, e la Suprema Corte ha confermato la linea di giudizio, anche perché l'ha ritenuta coerente con il tenore letterale dell'articolo 445 del codice di procedura penale, che prevede, per quanto riguarda gli effetti dell'applicazione della pena su richiesta, che la sentenza sia equiparata a una pronuncia di condanna (comma 1-bis).

Il presupposto per il licenziamento disciplinare
Non è la prima volta che la giurisprudenza si occupa della questione per il fatto che, nella generalità dei casi, le norme della contrattazione collettiva afferente il pubblico impiego citano, quale presupposto per attivare il licenziamento disciplinare, la sentenza penale di condanna passata in giudicato, mentre sul punto si è sostenuto che l'applicazione della pena su richiesta dell'imputato non sarebbe tecnicamente configurabile come una sentenza di condanna.
Il dubbio è stato risolto dall'orientamento dominante, secondo cui il giudice di merito, nell'interpretare la clausola contrattuale frutto della volontà delle parti collettive, può ben ritenere che queste, nell'usare l'espressione «sentenza di condanna» abbiano inteso evocare il concetto in senso lato, tenuto conto che nell'ipotesi di patteggiamento, articolo 444 del codice di procedura penale, l'imputato non nega la propria responsabilità ma esonera l'accusa dell'onere della relativa prova in cambio di una riduzione di pena.
Ne deriva che la sentenza di patteggiamento assume efficacia di sentenza irrevocabile di condanna nel procedimento disciplinare, con riguardo all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell'affermazione che l'imputato lo ha commesso.

L'orientamento della giurisprudenza
A onor del vero, non è mancata qualche pronuncia fuori dal coro, che ha osservato come «la sentenza pronunciata a norma dell'articolo 444 del Cpc non è una vera e propria sentenza di condanna (…) con la conseguenza che, dovendosi escludere che siffatta sentenza possa acquisire autorità di giudicato, la stessa non può rilevare ai fini della definizione di un processo civile avente a oggetto la legittimità di un licenziamento fondato esclusivamente su una disposizione del contratto collettivo che consente la risoluzione del rapporto di lavoro nell'ipotesi di condanna a pena detentiva comminata al lavoratore con sentenza passata in giudicato» (Cassazione sentenza n. 7196/2006).
Si tratta però di pronunce isolate, che nel corso del tempo sono state superate da un orientamento di segno opposto.

L'analisi della Corte
La Cassazione ha avallato l'indirizzo dominante sostenendo che, a fronte di un chiaro orientamento normativo, «non vi è ragione di trasporre, sul piano disciplinare, distinguo e varianti fondate sulle caratteristiche intrinseche della sentenza di patteggiamento che sono proprie dell'ambito penale in senso stretto».
Di qui il principio secondo cui la sentenza di patteggiamento divenuta irrevocabile produce effetti di giudicato nel giudizio sulla responsabilità disciplinare del dipendente pubblico quanto all'accertamento del fatto, della sua illiceità penale e riferibilità al dipendente stesso.

La sentenza della Corte di cassazione n. 20721/2019

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