Personale

La programmazione del fabbisogno di personale non consente l'utilizzo delle vecchie graduatorie

di Carmelo Battaglia e Domenico D'Agostino

Con la Deliberazione n. 233/2019/PAR, la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Veneto, pur avendo dichiarato inammissibile, da un punto di vista oggettivo, la richiesta di parere inoltrata da un comune, ha, comunque, dettato importanti canoni interpretativi in materia di utilizzo di graduatorie concorsuali e fornito indicazioni precise in materia di competenze della Corte.
Preliminarmente, la Corte ha eccepito come, secondo un principio ampiamente consolidato, la funzione consultiva non possa risolversi in una surrettizia forma di co-amministrazione o di co-gestione, incompatibile con la posizione di neutralità e di terzietà della magistratura.
Ne consegue che i pareri vengono resi dalle Sezioni Regionali di Controllo avuto riguardo esclusivo alle questioni di natura generale ed astratta. Inoltre, essi non possono rappresentare uno strumento di validazione di eventuali determinazioni in itinere, ovvero di atti già adottati dall’Amministrazione richiedente.

Al fine di consentire l’esercizio della funzione consultiva, le richieste di parere non devono rappresentare quesiti per la cui soluzione “non si rinvengono quei caratteri - se non di esclusività - di specializzazione funzionale che caratterizzano la Corte in questa sede, e che giustificano la peculiare attribuzione da parte del legislatore”, né istanze che, per come formulate, si sostanzino in una richiesta di consulenza di portata generale in merito agli ambiti dell’azione amministrativa. La funzione consultiva contribuisce alla legalità dell’azione degli Enti territoriali nella gestione del denaro pubblico, assumendo particolare valore la verifica preventiva dei requisiti di ammissibilità, ulteriormente rafforzata dalle disposizioni di cui all'articolo 69, comma secondo, del codice della giustizia contabile – il quale prevede che il pubblico ministero disponga l'archiviazione per assenza di colpa grave, quando l’azione amministrativa si sia conformata al parere reso dalla Corte dei conti in via consultiva, in sede di controllo e in favore degli Enti locali nel rispetto dei presupposti generali per il rilascio dei medesimi – ed all’art. 95, comma quarto, – il quale dispone che il giudice, ai fini della valutazione dell'effettiva sussistenza dell'elemento soggettivo della responsabilità e del nesso di causalità, consideri, ove prodotti in causa, anche i pareri resi dalla Corte dei conti in via consultiva, in sede di controllo e in favore degli Enti locali, nel rispetto dei presupposti generali per il rilascio dei medesimi.

Nel caso all’esame della Corte, la richiesta non era finalizzata alla tutela della regolare gestione finanziaria e della corretta interpretazione di una norma di contabilità pubblica, ma rivestiva indubbio interesse per la dinamica del pubblico impiego.
Costituisce ius receptum il principio secondo il quale la richiesta di parere debba essere finalizzata ad ottenere indicazioni sulla corretta interpretazione di principi, norme ed istituti riguardanti la contabilità pubblica. La richiesta deve essere giustificata da un interesse dell’Ente alla soluzione di una questione giuridica incerta e controversa, a carattere generale e astratto. Qualunque funzione “consulenziale” sull'attività dell'Amministrazione locale deve essere decisamente esclusa, a maggior ragione, quando tenda a ricercare interpretazioni distoniche o, comunque, difformi dai pronunciamenti di altre Sezioni Regionali di controllo sulla medesima tematica.

La Corte ha ribadito che, anche nella sua funzione di interprete delle norme in materia di contabilità pubblica, è tenuta a garantire l’unità dell’ordinamento e l’uguaglianza dei cittadini di fronte al diritto, sin dal momento della sua applicazione: la realizzazione di questi principi esige non solo che i pronunciamenti delle Sezioni Regionali di controllo, su medesime tematiche, siano rispettate dalle Pubbliche Amministrazioni, ma anche che dovere costituzionale della funzione dei giudici sia di assicurare l’uniforme interpretazione del diritto. Del pari, lo strumento consultivo offerto agli Enti, dalla legge 131/2003, deve sempre mirare alla tutela, anche in chiave prospettica, delle risorse della comunità amministrata, evitando di piegare lo stesso verso esigenze del singolo Ente locale.

Ciò precisato, la Corte ha ribadito, aderendovi, l’interpretazione già espressa dalle Sezioni regionali chiamate a pronunciarsi sull’argomento: in particolare, la corretta interpretazione dell’art. 91, comma 4, Tuel, secondo il quale gli Enti locali possono utilizzare le graduatorie vigenti per la copertura di posti resi vacanti successivamente alla data di pubblicazione delle stesse, vieta la possibilità di utilizzare graduatorie vigenti per la copertura di posti istituiti o trasformati successivamente all’indizione del concorso.
E, infatti, anche quando modifiche legislative amplino le facoltà assunzionali dell’Ente (nello specifico ci si riferisce al Dl 4/2019, avente ad oggetto il reddito cittadinanza), ciò non influisce nella redazione del Piano Triennale del Fabbisogno del Personale, che, sebbene sia ormai superata la staticità del concetto di pianta organica, deve comunque rispettare i vincoli normativi vigenti e le procedure di reclutamento del personale imposte alle Pa.
Il Piano Triennale del Fabbisogno del Personale si configura, infatti, come un atto di programmazione finanziaria, in base al quale viene disposto l’ottimale impiego di risorse pubbliche e di risorse umane, nel rispetto dei vincoli finanziari imposti in materia di stanziamenti di bilancio e di spesa del personale. Pertanto, secondo la Corte, la programmazione del fabbisogno di personale, in combinato disposto con l’articolo 91, comma 4, Tuel, non consentirebbe di utilizzare le graduatorie esistenti per la copertura di posti istituiti o trasformati successivamente all’indizione del concorso, assumendo, peraltro, soggetti di cui si conosce l’identità.

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